Papa Benedetto XVI e rinuncia al pontificato: la profezia di Malachia stà per avverarsi

Papa Benedetto XVI e rinuncia al pontificato: la profezia di Malachia stà per avverarsi
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La notizia delle “dimissioni” di papa Benedetto XVI ha sconvolto il mondo politico e dei fedeli.

Da più parti, è stato osservato che si tratta di un evento epocale, che presenta contorni differenti rispetto al “gran rifiuto” di papa Celestino V (unico esempio e precedente storico di abdicazione al trono pontificio).

In realtà (come dimostreremo in questo articolo) le similitudini tra i due pontefici sono più grandi di quanto si possa pensare perchè, a dispetto di quanto osservato dai vaticanisti e dagli storici del mondo cristiano, Benedetto XVI, nel “pubblicizzare” la sua abdicazione si è avvalso di un lessico simbolicamente evocativo il “rifiuto” di Celestino.

Cercheremo anche di comprendere le vere ragioni che possono avere determinato la “scelta” di Ratzinger ed il loro collegamento con le profezie di San Malachia.

Ma, andiamo per gradi.

Pietro Angelerio del Morrone (poi Celestino V) era un monaco eremita del 14° secolo, appartenente all’ordine dei benedettini. Fù eletto pontefice nel 1294, dopo due anni di conclave, per volontà di Benedetto Cateani (Bonifacio VIII).  Alla sua elezione, si addivenne per ricomporre i dissidi politici insorti all’interno della Chiesa (tra i sostenitori dei Colonna ed altri cardinali) e stemperare i rapporti con angioini ed aragonesi, atteso che tra Carlo II D’Angiò e Giacomo II D’Aragona erano in corso trattative per l’occupazione della Sicilia che necessitavano dell’avallo pontifico.

L’elezione di Pietro Angelerio del Morrone  seguiva l’intento di proporre una figura “spoliticizzata”  e “malleabile” che, momentaneamente, favorisse il traghettamento e la transizione della Chiesa verso orizzonti politici ancora non definiti. Subito dopo l’elezione, Celestino V ratificò il trattato tra angioini ed aragonesi, consegnando la Sicilia a Carlo D’Angiò ed a lui rimettendosi nella gestione del pontificato.

Il 13 Dicembre del 1294, Celestino V, durante un concistoro, diede lettura di una bolla pontificia in cui si contemplava la possibilità di rinunciare all’ufficio di sacro e romano pontefice. Proponiamo il testo letterale della bolla, per le evidenti similitudini che presenta con le parole pronunciate da Benedetto XVI: “Io Papa Celestino V, spinto da legittime ragioni, per umiltà e debolezza del mio corpo e la malignità della plebe, al fine di recuperare con la consolazione della vita di prima, la tranquillità perduta, abbandono liberamente e spontaneamente il Pontificato e rinuncio espressamente al trono, alla dignità, all’onere e all’onore che esso comporta, dando sin da questo momento al sacro Collegio dei Cardinali la facoltà di scegliere e provvedere, secondo le leggi canoniche, di un pastore la Chiesa Universale“.

Secondo gli storici, la bolla venne redatta da Benedetto Caetani (Bonifacio VIII) per preparare la strada alla sua elezione. Dopo l’abdicazione, Celestino V (che Bonifacio VIII intendeva mettere sotto controllo per evitare uno scisma) cercò di fuggire verso la Grecia (dove voleva condurre vita monastica) ma venne fermato ed arrestato (su ordine di Bonifacio) da Guglielmo Stendardo II. Venne rinchiuso in una segreta del Castello di Fumone, dove morì il 19 Maggio del 1296.

La rinuncia di Celestino presenta molte analogie con quella di Rtazinger.

Benedetto XVI afferma di rinunciare al pontificato atteso che”le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino” perchè “nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede” è necessario anche il “vigore sia del corpo, sia dell’animo“.  Precisa di essere “ben consapevole della gravità di questo atto” e di rinunciare “con piena libertà al ministero di Vescovo di Roma“. Infine, manifesta la volontà di proseguire la sua missione “con una vita dedicata alla preghiera” (ovvero vita monastica).

Siamo in presenza di stati d’animo e contenuti sovrapponibili: entrambi i papi abdicano perchè non hanno sufficiente vigore “nel corpo e nell’anima”. Entrambi fanno riferimento a legittime ragioni (che, in Celestino sono rappresentate dalla malignità della plebe e dalla necessità di recuperare una dimensione spirituale tranquilla, ed in Benedetto XVI dalla necessità di affrontare questioni di grande rilevanza in un mondo soggetto a rapidi mutamenti). Entrambi, infine, manifestano la volontà di condurre vita monastica e di agire in “piena libertà“.

Fatto singolare, sia Celestino V che Benedetto XVI appartenevano all’ordine monastico dei benedettini.

Cosa possiamo desumere dai  queste similitudini? I due pontefici hanno rinunciato al pontificato per sottrarsi al sistema di potere di una Chiesa votata alla simonia ed in cui si è smarrito il senso profondo della spiritualità e del messaggio evangelico. Entrambi i vicari “liberamente” e “consapevoli della gravità del loro atto” rinunciano al “trono” (al potere politico del pontificato) perchè coscienti di non essere in grado di ricondurre le istituzioni ecclesiastiche alla più profonda essenza del cristianesimo, decidendo di condurre una vita appartata e lontana dai giochi di Palazzo.

Fatta questa premessa, è possibile che  Benedetto XVI abbia abdicato perchè a conoscenza di fatti che potrebbero compromettere l’esistenza stessa della Chiesa di Roma?

Possiamo formulare due ipotesi.

 

Prima Ipotesi

Una prima ipotesi, avanzata dagli “antivaticanisti” è che le dimissioni del Papa possano essere correlate all’imminente scandalo che sconvolgerà la IOR (banca vaticana) ed il sistema finanziario del Vaticano. E’ noto che, agli inizi degli anni ’80, il Vaticano stava per essere travolto da una indagine legata alla corruzione del sistema bancario, che poi esitò nella destituzione di Monsignor Paul Marcinkus (presidente dello Ior) accusato (anche) di essere coinvolto nella morte di papa Albino Luciani (Giovanni Paolo I, che intendeva ricondurre la Chiesa alla dimensione di povertà predicata nel messaggio evangelico). Tutto fù messo a tacere e Marcinkus fù ritenuto il capro espiatorio e l’unico responsabile della degenerazione finanziaria. Ebbene, secondo alcuni osservatori, la storia stà per ripetersi ma, stavolta, coinvolgerà tutti i vertici del Vaticano e le più importanti strutture ecclesiatcihe, con conseguenze inimmaginabili.

 

Seconda Ipotesi

Benedetto XVI, deluso da “Vatileaks” e dagli scandali sulla pedofilia che hanno “colpito” la sua Chiesa, ha posto in essere un atto di “umiltà sovrana”: la chiesa non deve essere potere ed attaccamento al potere. Il pontefice non è più simbolo e rappresentante della fede ma uno strumento per consentire ai centri di potere di gestire immense risorse finanziarie e coprire il diffuso malcostume che serpeggia nelle istituzioni cattoliche. Per combattere questo stato di cose occorre, prima di tutto, un gesto di esemplare (che testimoni umiltà e distacco dal potere) ma anche una figura più vigorosa ed intemperante, che possieda tutte le energie necessarie per condurre una lotta “cruenta” all’intero del sistema ecclesiale.

E le profezie di Malchia?  Trovano conferma in quanto stà accadendo, descrivono la figura di Benedetto XVI, del suo successore e del crollo della Chiesa Romana.

Come è noto le profezie di Malachia enumerano 112 papi, ciascuno descritto con un epiteto che li rappresenta. Benedetto XVI (il 111° e penultimo papa) è definito “De gloria Olivae“. La profezia trova conferma perchè, in effetti, papa Ratzinger appartiene all’ordine dei benedettini (il cui simbolo è l’ulivo, che figura pure nel suo stemma papale).

L’ultimo papa, il 112°, è definito “Pietro il Romano” e secondo Malachia il suo pontificato sarà caratterizzato da grandi tribolazioni ed esiterà nel crollo della Chiesa Romana.

Quando parliamo di crollo non dobbiamo pensare alla distruzione fisica della Chiesa ma, in senso metaforico, al suo declino come istituzione.

Date queste premesse,  poniamoci una domanda. Quali cause potrebbero condurre al crollo della Chiesa Cattolica o destabilizzare la fede nel pianeta?

Ciò potrebbe accadere solo in due casi:

1) Un enorme scandalo (finanziario o morale) che coinvolga tutti i vertici del Vaticano (pontefice, vescovi e cardinali). Cosa accadrebbe se domani dovessimo apprendere che il Pontefice (anche i reggenti nei precedenti pontificati), unitamente a tutti i componenti del collegio cardinalizio ed alle ramificazioni diocesiane, sono partecipi di una vastissima associazione a delinquere legata al profitto e parte attiva di gravissimi reati contro il patrimonio, la persona e la dignità umana? La domanda è pleonastica. In un solo istante, tutti i fedeli del mondo testimonierebbero disprezzo nei confronti della Chiesa istituzione e dei suoi rappresentati di vertice. Assisteremmo al crollo totale dell’istituzione ecclesiastica.

2) La seconda causa può essere rappresentata da una notizia sconvolgente, talmente importante da mettere in discussione l’in sè della fede cristiana. Potrebbe trattarsi di una “scoperta” riguardante le origini del cristianesimo (forse la storicità della figura di Gesù Cristo), il contenuto o la stesura dei vangeli canonici (allo stato piuttosto controversa)  ovvero (secondo la tesi di alcuni ufologi) il contatto con intelligenze extraterrestri o verità sulle origini della civiltà umana. Al verificarsi di una qualsiasi di queste condizioni, non v’è dubbio alcuno che la Chiesa come istituzione o (peggio) la fede cristiana sarebbero irrimediabilmente compromesse.

In questo senso, non dobbiamo guardare alle “profezie” di Malachia come a possibili risvolti catastrofici di eventi imponderabili, ma anche come cambiamenti epocali legati all’evoluzione del pensiero umano, ancora così incerto e traballante.

Non ha neppure molto significato porsi l’interrogativo della genuinità ed originalità delle profezie, ma solo della storicizzazione del loro contenuto, che può realizzarsi anche in modo non preventivo ancorchè preventivato.

La “rinuncia” di Benedetto XVI sembra costituire il preludio a quegli stravolgimenti epocali previsti da veggenti e profeti.


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