L’OMICIDIO DI LIDIA MACCHI SI RIAPRE DOPO 30 ANNI DI INDAGINI CON L’ARRESTATO STEFANO BINDA, RICONOSCIUTO AUTORE DELLA LETTERA CHE LA FAMIGLIA RICEVETTE IL GIORNO DEI FUNERALI DELLA VITTIMA. I PARTICOLARI E LA SINTESI DI UNA VICENDA DI CRONACA NERA NON ANCORA CONCLUSA.
La misteriosa scomparsa di Lidia Macchi
E’ il 5 Gennaio del 1987. Lidia Macchi è una giovane studentessa che frequenta la facoltà di Giurisprudenza di Milano. Ha 21 anni e frequenta il circolo religioso di C.L. (Comunione e Liberazione) di Varese. Quel fatidico giorno vuole andare a far visita ad un’amica ricoverata all’ospedale di Cittiglio (Varese). Sarebbe dovuta rientrare a Casbeno (dove viveva con i genitori) per l’ora di cena. Tuttavia ciò non avverrà. L’amica di Lidia racconta che la ragazza era uscita dall’ospedale alle otto e dieci circa. Il padre della Macchi, informato della scomparsa, espose di avere ricercato l’automobile della figlia nel parcheggio dell’ospedale, ma senza successo.
Il giorno successivo, il 6 Gennaio del 1987, i compagni scout di CL si organizzarono per effettuare approfondite ricerche dell’amica nelle strade e nelle campagne del varesino. Il corpo di Lidia Macchi sarà ritrovato il 7 Gennaio del 1987 nel bosco di Sass Pinì. Il cadavere era parzialmente svestito e coperto da cartoni. Inoltre presentava le calze indossate al contrario ed i pantaloni all’interno degli stivali. L’autopsia rivelerà che la donna era stata uccisa con 29 coltellate.
Le prime indagini
Gli inquirenti dell’epoca concentrano le prime indagini su Antonio Costabile. Si tratta di un sacerdote che aveva uno stretto rapporto di amicizia con la Macchi e che, a quel tempo, coordinava il gruppo di boy-scout di CL a Varese. La posizione del prete è sotto i riflettori poichè, oltre al particolare rapporto che lo legava a Lidia, possiede un alibi abbastanza fragile e rende dichiarazioni apparentemente contraddittorie.
Nella borsa della ragazza viene trovata una lettera che recita una poesia d’amore di Cesare Pavese. Particolare a cui, nel corso delle indagini, non sarà attribuito rilievo fondamentale.
Il giorno del funerale di Lidia, i familiari ricevono una lettera anonima che trascrive una poesia che sembra raccontare, in forma simbolica, quel che accadde la notte dell’omicidio. La lettera si chiude con un cerchio, riconducibile ad un simbolo sacro, probabilmente un’ostia. Secondo gli inquirenti, quella lettera è stata scritta dall’assassino, atteso che riporta particolari relativi alla morte della ragazza, al luogo del delitto ed alle condizioni metereologiche della notte del 5 Gennaio 1987. Probabilmente, l’assassino vuole comunicare ai familiari il proprio pentimento.
Si indaga sui circoli di CL ma la Curia Milanese chiede la sostituzione del Dott. Agostino Abate, il pm che stava indagando sul caso. Altro indagato è Stefano Binna, amico e compagno di Lidia. La sua posizione viene estromessa a seguito delle dichiarazioni rese da un testimone (Giuseppe Sotgiu) che collocò la sua presenza lontano dalla scena del delitto.
Il caso assume un clamore nazionale. Il noto presentatore Enzo Tortora, conduttore della trasmissione Giallo, invita gli inquirenti a svolgere analisi del DNA sui reperti e ad inviarli agli esperti inglesi (in quegli anni la scienza del DNA era solo agli albori in Italia).
I medici legali individuano materiale organico sul corpo della ragazza e lo invieranno nei laboratori inglesi per confrontartlo col sangue dei sacerdoti indagati. Le analisi daranno esito negativo e non vengono trovati riscontri. La curia varesina ed i circoli di Cl sembrano estranei ai fatti.
Un sospettato. Giuseppe Piccolomo
La vicenda resta nell’oblio fino al 2013, allorquando la procura di Milano, dopo ulteriori attività investigative, accusa dell’omicidio Giuseppe Piccolomo, un imbianchino varesino già condannato all’ergastolo per aver ucciso una pensionata di Cocquio. L’incriminazione di Piccolomo consegue alle dichiarazioni rese dalle sue due figlie, le quali ebbero a riferire che il padre, in una circostanza, si era vantato di avere ucciso la Macchi. Inoltre, la fisionomia di Piccolomo corrisponde all’identikit tracciato da quattro ragazze che, la sera del delitto, erano state molestate da uno sconosciuto nel parcheggio dell’Ospedale di Cittiglio (dove Lidia Macchi si era recata per visitare l’amica degente).
Giuseppe Piccolomo viene tratto in arresto ma il suo legale chiede che siano effettuati nuovi esami del DNA per confrontarli con i reperti. L’esame sconfessa l’ipotesi accusatoria. Le tracce biologiche sul corpo della ragazza non corrispondono al DNA di Piccolomo, che verrà prosciolto nel mese di Agosto del 2015.
La svolta del 2014 e l’arresto di Stefano Binda.
Nel 2014, le tv e le testate giornalistiche nazionali diffondono la copia della lettera inviata ai familiari nel giorno dei funerali di Lidia. Patrizia Bianchi, un’amica di Stefano Binda, riconosce nella lettera la calligrafia dello stesso Binda ed, a riprova di ciò, produce agli inquirenti una cartolina inviatagli dall’indagato negli anni del delitto.
La lettera anonima era arrivata alla famiglia Macchi pochi giorni dopo l’omicidio, trapelò dai documenti dell’indagine nel giugno del 2014 e venne diffusa da televisioni e giornali. Nei mesi successivi la Procura confronta la grafia della lettera con quella di Binda, trovando riscontri positivi. Il 15 Gennaio del 2015, Binda è stato incriminato ufficialmente per l’omicidio. I giornali raccontano che all’epoca dell’omicidio Binda frequentava lo stesso giro di Comunione e Liberazione di Macchi. Oggi ha 49 anni, è disoccupato e vive a Brebbia, in provincia di Varese.
La perquisizione effettuata nella sua abitazione ha dato esito positivo. Gli inquirenti hanno trovato frammenti di giornale relative all’omicidio, un diario da cui risultano strappate le pagine relative alla data del delitto ed un appunto in cui Binda scrive “Stefano è un barbaro assassino“.
All’epoca dei fatti, Stefano Binda era uscito fuori dall’indagine a seguito della testimonianza resa dall’amico Don Giuseppe Sotgiu che, a sua volta amico della Macchi, aveva reso una versione dei fatti incompatibile con la sua presenza sulla scena del delitto.
Giuseppe Sotgiu è stato interrogato il 17 Febbraio del 2016 e le sue dichiarazioni sono tutte costellate di molteplici “non ricordo” anche su circostanze che egli dovrebbe ben rammentare, tanto che il prete potrebbe essere indagato per falsa testimonianza.
Secondo l’accusa, Binda uccise Macchi per vendicarsi di avere fatto sesso con lui. Binda avrebbe ucciso Macchi «per motivi abietti e futili, consistenti nell’intento distruttivo della donna considerata causa di un rapporto sessuale vissuto come tradimento del proprio ossessivo e delirante credo religioso, tradimento da purificarsi con la morte; intento punitivo pertanto del tutto ingiustificabile e sproporzionato agli occhi della comunità».