Era il pomeriggio del 7 Agosto del 1990. E’ Martedì ed a Roma fa molto caldo. Simonetta esce di casa, in Via Serafini, e si dirige verso la stazione della metropolitana per raggiungere Via Poma.
Raggiunge la fermata Subaugusta grazie al passaggio datole dalla sorella Paola. Sì, anche perchè quel Martedì pomeriggio a Roma rischia di piovere e Simonetta Cesaroni, a causa di un guasto al motore, non può utilizzare la sua Fiat 126.
Prima domanda. Perchè Simonetta Cesaroni, in un caldo pomeriggio d’estate deve recarsi in Via Poma? Inoltre, il giorno dopo (l’8 Agosto) sarebbe dovuta partire per le vacanze.
Simonetta era diplomata in ragioneria ed era stata assunta come dattilografa in un studio commercialistico di Roma, gestito da Salvatore Volponi ed Ermanno Bizzocchi.
Lavora 3 giorni alla settimana (Lunedì, Mercoledì e Venerdì) dalle 9:00 alle 12:00 e dalle 16:00 alle 19:30.
Tra i clienti dello studio vi è anche l’Associazione Italiana Alberghi della Gioventù, con sede a Roma in Via Poma n.2, il cui presidente era Francesco Caracciolo di Sarno.
L’AIAG, per il periodo di Agosto, ha necessità di predisporre un piano gestionale con dati da inserire al computer. Il personale ordinario non è disponibile e, per questa ragione, Caracciolo richiede a Salvatore Volponi di cercare un sostituto tra i suoi dipendenti. Volponi contatta proprio Simonetta Cesaroni che per due pomeriggi a settimana (Martedì e Giovedì) si reca nell’ufficio di Via Poma per svolgere questa attività straordinaria.
Dicevamo, il pomeriggio del 7 Agosto 1990, Simonetta, grazie al passaggio della sorella Paola, prende la metropolitana alla fermata di Subaugusta.
Non abbiamo dati certi su cosa sia accaduto successivamente ovvero se Simonetta Cesaroni sia salita su un vagone della metro ovvero abbia ricevuto un ulteriore passaggio.
L’unica certezza è che Simonetta raggiunge l’ufficio di Via Poma.
Le carte processuali hanno appurato che la Cesaroni uscì di casa alle 14:30 ed arrivò alla fermata Subaugusta alle ore 15:00. Sono dati assolutamente certi perchè riferiti dalla sorella Paola che l’accompagnò personalmente.
Ma a che ora Simonetta è arrivata in Via Poma? Dalla fermata Subaugusta a Lepanto (la stazione più vicina a Via Poma) occorrono circa 40 minuti.
Supponendo che la Cesaroni sia scesa proprio a Lepanto, avrebbe impiegato altri 10 minuti per raggiungere Via Poma a piedi.
Pertanto, dovrebbe avere raggiunto l’ufficio alle ore 15:50 circa.
A quest’orario (secondo le risultanze processuali) i portieri dello stabile sono attorno al giardino adiacente l’ingresso, ma nessuno sembra essersi accorto dell’arrivo della ragazza.
In sostanza, non sappiamo neppure se Simonetta fosse da sola o in compagnia di qualcuno.
Tra i portieri presenti in giardino avrebbe dovuto esserci anche Pietro Vanacore. Avrebbe, perchè in realtà in quel momento era assente.
L’ufficio si trova al terzo piano dello stabile e Simonetta dispone delle chiavi. Entrerà in quelle stanze ma non vi uscirà mai più.
Il suo corpo sarà ritrovato martoriato da 29 coltellate (anche se l’arma del delitto non è mai stata trovata).
A che ora è morta Simonetta, per quale ragione e cosa e accaduto all’interno di quel macabro ufficio?
Secondo le perizie medico legali, la povera Cesaroni è morta tra le 17:35 e le 18:20 del 7 Agosto 1990.
La probabile ora del decesso è stata ricostruita elaborando le testimonianze e le dichiarazioni rese da amici e conoscenti della vittima.
Il limite orario massimo è stato ricavato dalla circostanza che Simonetta avrebbe dovuto telefonare a Salvatore Volponi alle 18:20, per aggiornarlo sullo stato delle pratiche immesse al computer. La telefonata non giungerà mai.
E’ invece provato che la ragazza, alle 17:15, telefona alla collega Luigia Berrettini, per richiederle la password d’accesso ad alcuni files. La Berrettini contatterà altra collega, Anita Baldi, e quindi ritelefonerà a Simonetta per fornirle le credenziali di accesso.
Piccolo interrogativo. Perchè Simonetta telefona alla Berrettini (che non conosceva di persona) e non direttamente ad Anita Baldi (con cui aveva frequenti rapporti professionali)?
Luigia Berrettini non conosceva neppure la voce di Simonetta. Siamo veramente certi che la persona al telefono era proprio Simonetta Cesaroni? Ma quì andiamo nel campo delle ipotesi. Ipotesi lecite, tuttavia, perchè, in assenza di riscontri, possiamo solo procedere con gli strumenti del dubbio e della logica.
Vi sono anche altri piccoli dati che potevano essere esaminati. Ad esempio, l’Ing. Cesare Valle (che all’epoca abitava nello stabile) dichiarò di aver sentito (nel pomeriggio) come dei lamenti provenienti dal pianto di una bambina.
Gli investigatori non prestarono particolare credito alla testimonianza, anche perchè l’Ing. Valle era un anziano 88 enne in non perfette condizioni di salute.
L’indagine sembrò ad un svolta nel 1992 quando un cittadino austriaco (Roland Voeller) affermò di conoscere l’identità dell’assassino. Voeller dichiarò che nel 1990 aveva casualmente conosciuto Giuliana Ferrara, madre di Federico e moglie di Raniero Valle.
La Sig.ra Ferrara confidò a Voeller che il giorno del delitto di Via Poma, il figlio Federico era rincasato tardi, visibilmente stravolto e con un taglio alla mano.
I sospetti, pertanto, caddero immediatamente su Federico Valle accusato di avere ucciso la Cesaroni per la relazione segreta che intratteneva con il padre Raniero Valle, e che era alla base della separazione dei propri genitori.
Tuttavia, tutto andò in fumo quando Raniero Valle dichiarò di non conoscere Simonetta e la Sig.ra Giuliana Ferrara negò di avere parlato con Roland Voeller.
Inoltre, Federico Valle aveva anche un alibi: il 7 Agosto era rimasto tutto il giorno a casa, a causa di malesseri legati all’anoressia.
Il principale indiziato del delitto fù il già citato Pietro Vanacore, uno dei portieri dello stabile di Via Poma. A lui si imputarono una seri di indizi e gravi incongruenze.
Prima di tutto, Vanacore non era in compagnia degli altri portieri nell’ora in cui Simonetta sarebbe giunta in Via Poma. I quattro portieri testimoniarono di essere rimasti vicino alla vasca del cortile d’ingresso per tutto il pomeriggio (dalle 16:00 alle 20:00). Per quale ragione solo Vanacore era assente?
In un paio di calzoni del Vanacore vengono trovate tracce di sangue che, tuttavia, dopo l’esame genetico risulterà appartenere proprio a Vancore.
Pietro Vanacore venne arrestato e dopo 26 giorni di carcere rimesso in libertà. Aveva anche un alibi: uno scontrino dell 17:25 relativo all’acquisto di un utensile in un negozio di ferramenta.
Inoltre, i legali del Vanacore (data l’efferatezza del delitto, compiuto con 29 pugnalate) provarono che era oggettivamente impossibile che i vestiti del loro assistito non presentassero alcuna traccia di sangue.
Tutto ritorna al punto di partenza. Emerge la grave lacunosità delle indagini e risultano gravi contaminazioni alla scena del crimine.
Ad esempio, il computer su cui lavorava Simonetta fu spento da un poliziotto intervenuto durante il sopralluogo, rendendo impossibile sapere a quale file la vittima stesse lavorando e quali altre operazioni aveva eseguito.
Accanto al monitor venne ritrovato un foglietto con scritto “Ce dead Ok“, che si supponeva lasciato dall’assassino. Salvo a scoprire, anni dopo, che si trattava dello scarabocchio lasciato da un agente di polizia nel corso delle operazioni.
Fatto ancora più grave, non venne verificato nell’immediatezza quali altre persone si trovavano nello stabile il pomeriggio del 7 Agosto 1990.
Sulla maniglia della porta di ingresso dell’ufficio vi erano tracce di sangue, non appartenenti ad alcuna delle persone presenti. Ma, anche questo reperto fu verosimilmente contaminato nel corso degli accertamenti. Quelle tracce potevano contenere il dna del vero assassino.
Come è noto, nel 2004 le indagini sono state riaperte perchè, sulla base di nuovi esami, si era appurato che il corpetto che indossava Simonetta conteneva tracce di saliva appartenenti a Raniero Busco, suo giovane compagno di allora.
Riesaminando le dichiarazioni rese da Busco all’epoca dei fatti con quanto riferito da altri testimoni emersero delle incongruenze.
Il caso fu riaperto e Busco, a distanza di 20 anni (padre di famiglia e con due figli) venne accusato di omicidio doloso.
La Corte di Assise Di Roma ha definitivamente assolto Busco dall’imputazione. Sentenza ragionevole, ci permettiamo di dire. Simonetta e Busco erano fidanzati e quelle tracce di saliva sul reggiseno hanno una spiegazione talmente ovvia ed evidente da non meritare alcun approfondimento.
Si tratta dell’ultimo atto di una vicenda che tuttora non ha alcun responsabile.
Salvo a voler considerare quanto avrebbe affermato il criminologo Francesco Bruno ovvero che l’assassino di Simonetta Cesaroni è stato individuato ma, per ragioni sconosciute, non è mai stato tratto in arresto.