Il delitto di Wilma Montesi
L’11 Aprile del 1953 sulla spiaggia di Torvajanica (nei pressi di Roma), riverso sulla sabbia, viene trovato il corpo senza vita di una giovane ragazza. Il cadavere viene identificato. Si tratta di Wilma Montesi, una bella ragazza romana di 21 anni.
Sul corpo (completamente vestito) non sono presenti segni di violenza fisica o sessuale. Risultano però assenti il reggicalze, le calze e le scarpe che la donna avrebbe dovuto indossare.
Eseguita frettolosamente l’autopsia, la morte venne addebitata ad un arresto cardio-respiratorio conseguente ad un pediluvio.
Le indagini sembrano volgere all’archiviazione del caso: un semplice, banale incidente lungo la riviera romana ovvero un probabile suicidio.
Si accerta che Wilma Montesi proveniva da una modesta famiglia, che era fidanzata ed in procinto di sposarsi.
Alcuni testimoni affermano di avere visto la Montesi sulla circolare che collega Roma ad Ostia (località balneare che dista alcuni chilometri da Torvajanica). Si suppone che la donna sia deceduta ad Ostia e che le correnti marine abbiano spostato il corpo a Torvajanica. Ma la tesi appare poco convincente e cominciano ad albeggiare più articolati sospetti.
Dopo alcuni mesi, la vicenda sembra essere caduta nel dimenticatoio e nessuno parla più di quella strana morte.
Tuttavia, quando il caso è ormai chiuso e le indagini ferme, il 6 Ottobre del 1953 (sei mesi dopo) il direttore della piccola testata giornalistica “Attualità” (Silvano Muto, all’epoca 21 enne) pubblica un lungo articolo in cui porta in luce alcune significative contraddizioni ed avanza l’ipotesi che Wilma Montesi sia morta di overdose, durante una festa scabrosa, nella villa del marchese Ugo Montagna. A quella festa sarebbe stato presente anche il musicista Piero Piccioni, figlio di Attilio Piccioni, ex Ministro Degli Esteri ed importante uomo politico della Democrazia Cristiana.
A partire da questo momento, il delitto Montesi si trasforma da semplice fatto di cronaca a caso politico nazionale, in cui sarebbero coinvolti i vertici del più importante partito di governo del Paese.
A complicare la situazione, viene individuato un “supertestimone“. Anna Maria Moneta Caglio, detta il “Cigno Nero“, già amante del marchese Ugo Montagna che afferma che nella sua villa si tenevano festini a base di alcol e droga. La notte dell’11 Aprile 1953, Wilma Montesi avrebbe avuto un grave malore dopo avere assunto una massiccia dosa di stupefacente.
A quel punto Piccioni e Montagna, impauriti per lo scandalo che ne poteva derivare e per evitare di compromettere la loro carriera politica, abbandonarono il corpo della ragazza ancora viva sul litorale di Torvajanica.
Anni dopo, si è saputo come e perchè venne fuori questa testimonianza. Fu un sacerdote gesuita (padre Dall’Oglio) nel Novembre del 1953, a consegnare a Fanfani un memoriale scritto da Anna Maria Caglio. Fanfani (in quel momento ministro) approfitta della situazione per sbarazzarsi dei suoi antagonisti all’interno della DC (tra cui Attilio Piccioni) e delega l’indagine ai Carabinieri sottraendola al corpo di Polizia (troppo vicino a Piccioni).
Le indagini assumono una direzione precisa e si canalizzano su Montagna e Piccioni, determinando una pressione mass-mediatica senza precedenti. Lo stesso questore di Roma, Saverio Polito, viene accusato di avere depistato gli inquirenti ed insabbiato le indagini, sospinto dalle pressioni politiche.
Il 26 Marzo del 1954, Piero Piccioni ed Ugo Montagna furono arrestati per l’omicidio di Wilma Montesi, unitamente al Questore di Roma Saverio Polito (con l’accusa di favoreggiamento). Sei mesi dopo, il 19 Settembre del 1954, Attilio Piccioni (padre di Piero) fù costretto a dimettersi dalla carica di Ministro Degli Esteri (sotto il governo Scelba).
Frattanto, i familiari della Montesi erano fermamente convinti dell’innocenza di Piccioni ed indirizzarono le indagini su Giuseppe Montesi, giovane zio della vittima, che aveva manifestato un attaccamento morboso nei confronti della ragazza. La pista dello “zio Giuseppe” (così è passata alla storia della cronaca) fu definitivamente abbandonata quando Giuseppe Montesi, dopo una serie di significative titubanze, confessò che la sera del delitto si trovava in compagnia della sorella della sua fidanzata.
Il 28 Maggio del 1955, la Corte di Assise di Venezia assolve con formula piena Piccioni, Montagna e Polito.
Per l’assoluzione, furono determinanti le testimonianze rese da personaggi pubblici e uomini di spettacolo. Il senatore a vita Paolo Emilio Taviani prende le difese di Piero Piccioni sostenendo che la ragazza era stata certamente vittima di una disgrazia. Testimoniò a favore di Piccioni affermando”Sono convinto che Piero Piccioni non c’entri per nulla nella vicenda Montesi. La sera in cui Wilma partì da Roma per Ostia, Piero era sulla costiera amalfitana e poi a Capri con la sua amante, Alida Valli. Il giorno successivo, Piero restò ancora laggiù; tornò dunque a Roma due giorni dopo la partenza di Wilma per Ostia e si mise a letto. Con la Valli Piero Piccioni non ha certo recitato dei rosari. Né la Valli era donna che si accontenti di ascoltare la musica di Piero Piccioni. Piero è tornato a Roma addirittura ammalato e non aveva la forza di correre a soddisfare l’altra presunta amante. Ma perché Piero Piccioni non ha subito detto che era fuori Roma nei giorni in cui morì la Montesi? Perché non voleva che il padre si amareggiasse, venendo a conoscenza della sua relazione: una relazione di cui mezza Roma era al corrente e io avevo già appreso, prima che da altri, dagli autisti”.
Alida Valli confermò che Piccioni si trovava con lei ad Ischia, colpito da un forte mal di gola.
L’opinione pubblica italiana, divisa tra innocentisti e colpevolisti, non ebbe più un colpevole su cui discutere ed i tabloid ed i settimanali “sgonfiarono” la vicenda.
Il delitto Montesi, che ha segnato la nascita della “questione morale” e del “gossip”, rimane tuttora irrisolto ed entra a pieno titolo tra i fatti di cronaca più misteriosi e scandalosi della storia repubblicana.