SIMONETTA CESARONI ED IL DELITTO DI VIA POMA
Renato Busco
Raniero Busco, principale indiziato ed imputato per l’assassinio di Simonetta Cesaroni, è stato definitivamente assolto a seguito della conferma della sentenza di assoluzione emessa dalla Corte di Cassazione.
Il delitto di Via Poma, ad oggi, resta senza un colpevole e l’intera vicenda richiama gli innumerevoli errori commessi dagli inquirenti ed il perseguimento di piste ed indiziati che, a conti fatti, sono risultati del tutto estranei al crimine. L’odissea giudiziaria di Renato Busco è finalmente finita. Era ed è innocente. Non è stato Busco ad uccidere Simonetta Cesaroni. Le tracce organiche rinvenute nel reggiseno della ragazza hanno (sì come avevano) una spiegazione talmente logica da non necessitare ulteriori approfondimenti. I due, all’epoca dei fatti, erano fidanzati. Non solo ma, le ulteriori tracce ematiche ritrovate sulla scena del delitto escludevano la presenza di Busco. Il Dna dell’assassino era impresso sulla cornetta del telefono e sulla maniglia della porta, ma non apparteneva a Busco. Gli inquirenti, innamorandosi in buona fede di una tesi accusatoria, hanno seguito la pista sbagliata. L’assassino è ancora libero. Ma nulla è perduto. E forse è ancora possibile individuarlo.
Il criminologo Carmelo Lavorino, che ha collaborato con l’Avv. Loria, difensore di Brusco, sembra avere le idee molto chiare ed esprime la sua opinione sul caso. Non una semplice e spassionata opinione, in verità, ma un percorso investigativo basato sulle emergenze processuali e sull’analisi dei reperti raccolti.
Il Dott. Lavorino ha un’idea ben precisa e particolarmente dettagliata dell’assassino di Simonetta Cesaroni e del Delitto di Via Poma.
Secondo le analisi condotte dal Dott. Lavorino l’assassino della Cesaroni ha un gruppo sanguigno tipo A con Dqalfa 4/4. Si tratta, inoltre, di una persona mancina ed appartenente o con stretti legami al condominio o all’ufficio dove lavorava la vittima. L’assassino ha ucciso Simonetta ed ha poi avuto tutto il tempo necessario per adulterare le tracce lasciate e depistare le indagini.Vi è stato anche un complice che è intervenuto per ripulire la scena del delitto, aiutando l’autore a non lasciare alcuna traccia.
L’arma del delitto sarebbe stata il tagliacarte di Maria Luisa Sibilia che, dopo essere stato utilizzato, sarebbe stato ripulito e lasciato sul posto.
L’assassino, dopo avere compiuto il delitto, avrebbe lasciato il cadavere di Simonetta in posizione discinta, con ciò testimoniando il disprezzo (a sfondo sessuale) che nutriva nei riguardi della ragazza. Sarebbe stato, invece, il complice a chiudere gli occhi della vittima ed a ricoprire il ventre con il top di pizzo sangallo.
IL TAGLIACARTE
Maria Luisa Sibilia, dipendente dell’ufficio Di Via Poma, era rientrata dalle ferie proprio la mattina dell’omicidio. Alle 11 del mattino, per quanto è stato appurato nel corso delle indagini, non aveva trovato il tagliacarte che solitamente usava per svolgere le operazioni di cancelleria. Tuttavia, lo stesso tagliacarte (assente la mattina) fu poi rinvenuto dagli inquirenti la sera sulla sua scrivania. Ciò significa che qualcuno, che conosceva Maria Sibilia, lo ha rimesso a posto senza sapere che la mattina del 7 Agosto 1990 Maria Sibilia era presente in loco e non lo aveva trovato.
IL DNA DELL’ASSASSINO
Esiste una lieve traccia di sangue ed è stata repertata sul telefono nella stanza di Maria Luisa Sibilia. Il sangue appartiene al gruppo A con dqalfa 4/4, e non è quello di Simonetta Cesaroni. Per un grossolano errore, gli inquirenti confusero l’impronta genetica ed il gruppo sanguigno, identificandolo con quello della Cesaroni. Questo errore sviò le indagini, indirizzandole in modo distorto.
La circostanza che le tracce ematiche ritrovate sul telefono appartenevano al gruppo A (e non 0) è comprovata da una perizia eseguita nel 1990 e dai riscontri peritali espletati nel procedimento in Appello a carico di Renato Busco.
L’ASSASSINO ERA SENZA DUBBIO MANCINO
L’assassino di Simonetta Cesaroni era mancino. Questo dato deriva dal fatto che la Cesaroni fù schiaffeggiata sulla tempia destra e riportò una ferita al collo con sequenza da destra a sinistra. Pertanto, quelle ferite furono apportate da una persona che utilizzò la mano sinistra ma non già la destra. E’ palese, inoltre, che in un momento di ferocia così tanto concitato, l’autore del delitto abbia adoperato la sua mano naturale.
SIMONETTA CESARONI. LA PROBABILE DINAMICA DELL’OMICIDIO
Questa la presumibile dinamica del delitto di Via Poma.
L’assassino si trova dinanzi a Simonetta che è priva della maglietta, dei pantaloni e si è spontaneamente tolta il corpetto. Ciò significa che l’omicida probabilmente conosceva bene la vittima. Il corpetto fù tolto spontaneamente, tanto è vero che è risultato privo di tracce di sangue. Il che implica che il corpetto potrebbe essere stato sistemato (da un eventuale complice) sul ventre dopo circa 45 minuti dall’esecuzione dell’omicidio.
L’assassino sarebbe stato ferito ed umiliato dal comportamento di Simonetta, scatenando una reazione violenta ed inconsulta. La Cesaroni sarebbe stata colpita alla tempia destra (c0n un colpo inferto con la mano sinistra), cadendo a terra e sbattendo la testa, tanto che il fermacapelli si sarebbe spezzato in due.
A quel punto, l’assassino si sarebbe scaraventato sulla vittima, cercando di toglierle le mutandine e di violentarla, senza riuscirci, forse per mancanza di un’erezione spontanea.
Impossibilitato ad intrattenere un rapporto sessuale violento, l’omicida ha strappato o abbassato il reggiseno di Simonetta, stringendo con forza il capezzolo sinistro.
La vittima era riversa a terra e verosimilmente priva di sensi. In un barlume di lucidità, l’assassino ha temuto di potere essere denunciato, scatenando una serie di reazioni tese ad evitare la propria identificazione.
Scorge il tagliacarte di Maria Sibilia, che si trova sulla scrivania di Carboni, lo impugna e, con la mano sinistra, infligge 29 coltellate alla vittima inerme. I colpi sono inferti in zone simboliche ed istintivamente evocative: il petto, il volto, il ventre ed il pube.
L’assassino, sferrando 14 colpi all’inguine, si è spostato alla sinistra del corpo, dal momento che alla destra si trovavano la scrivania e la sedia. Infine, avrebbe colpito anche la vagina,seguendo un impulso punitivo di carattere sessuale.
Dopo la cruenta esecuzione, l’assassino torna in sè, riprende coscienza. Il suo obiettivo è eliminare le tracce e farla franca. Cerca di asciugare il sangue utilizzando la maglietta ed i pantaloni della vittima, con estrema difficoltà.
Si reca nella stanza di Maria Sibilia e telefona a qualcuno chiedendo aiuto. Quando sopraggiunge, il complice è forse ignaro di quel che realmente accaduto ma, trovandosi ormai sulla scena del delitto, collabora con l’assassino cercando di eliminare tracce ed indizi, ripulendo la scena del crimine.
La borsetta della Cesaroni viene rovistata per avere il controllo della situazione ed i vestiti vengono asportati, con l’intento di non offrire alcun dato sensibile. Forse perchè erano sporchi di sangue o intrisi di impronte digitali.
Allo stesso modo, è asportata la bigiotteria. Tutto, tranne l’orologio, per far pensare ad un furto o depistare le indagini.
Le chiavi di Simonetta vengono prelevate. Potevano trovarsi sulla scrivania o dentro la borsetta. L’assassino utilizza quelle chiavi per chiudere la porta con quattro mandate. Si tratta del dato più significativo. In questo modo, infatti, l’omicida vuol far credere che chi ha commesso il delitto non aveva le chiavi della porta e, pertanto, non faceva parte del portierato e non aveva la possibilità di accedere autonomamente all’appartamento. Vuol far credere che chi ha commesso il crimine lo ha fatto solo utilizzando le chiavi della Cesaroni, mentre prima ne era sprovvisto.
Prima di allontanarsi definitivamente, il killer avrebbe lavato l’arma del delitto (il fermacarte di Maria Sibilia) collocandola sulla scrivania.
GLI ERRORI INVESTIGATIVI
Gli errori investigativi sono stati innumerevoli. In primo luogo, non sono state rilevate le temperature dell’ambiente raffrontandole con quelle del cadavere di Simonetta Cesaroni. Ciò avrebbe consentito di conoscere, con ragionevole margine di precisione, l’ora del decesso.
In secondo luogo, nessuno ha compreso che l’assassino era una persona mancina. Ciò avrebbe consentito di restringere l’ambito delle ricerche su soggetti con caratteristiche particolari.
Non sono state condotte adeguate indagini sulle persone presenti nello stabile il giorno del delitto e gli investigatori hanno, quasi fin da subito, seguito la pista di Pietrino Vanacore.
Successivamente, le investigazioni, sollecitate da astratti teoremi, si sono rivolte a Raniero Busco ed Federico Valle. La conseguenza è stata una distorsione degli elementi che potevano essere adeguatamente utilizzati per identificare il reale colpevole ovvero una persona mancina, che ha lasciato le proprie tracce ematiche sul telefono e che aveva la possibilità di accedere autonomamente all’appartamento.
Nonostante il lungo tempo trascorso e gli inutili processi celebrati, ancora oggi sarebbe teoricamente possibile identificare l’assassino del delitto di Via Poma e di Simonetta Cesaroni. Il campo d’indagine può essere ristretto su soggetti con caratteristiche tipiche ed individuabili.