La piccola Cristina Capoccitti: storia di un delitto irrisolto
Il delitto della piccola Cristina Capoccitti, uccisa a Case Castella all’età di sette anni.
La triste vicenda si svolge a Case Castella, al confine tra Abruzzo e Lazio. Nel 1990, una bambina di appena sette anni (Cristina Capoccitti) viene uccisa ed il suo corpo abbandonato in un bosco vicino casa.
Il corpo di Cristina Capoccitti viene trovato a ridosso di una siepe ed era coperto da una magliettina e da due calzini bianchi. A pochi metri di distanza vengono trovati i pantaloncini ed un pietra sporca di sangue. Si tratta, senza ombra di dubbio, dell’arma del delitto che l’assassino ha usato per uccidere la bambina.
L’omicidio, fin da subito, viene collegato ad una ipotesi di pedofilia e ad un tentativo di violenza sessuale. Si indaga sull’ambiente familiare e si indirizzano le indagini sullo zio Michele Perruzza, un uomo piuttosto rozzo, con precedenti penali e descritto negativamente da parenti, amici e conoscenti.
Pochi giorni dopo il delitto, il cugino di Cristina (figlio di Michele Perruzza ed all’epoca tredicenne) si autoaccusò del crimine. Ma le sue dichiarazioni non vennero ritenute attendibili.
Cambiò versione ben diciassette volte e dimostrava di non conoscere il luogo del delitto e le modalità di esecuzione.
Tra le innumerevoli versioni rese dal figlio Mauro, ve ne era una che descriveva il padre Michele colpire Cristina con una pietra.
Michele Perruzza, nonostante avesse pervicacemente urlato la propria innocenza, venne arrestato ed accusato dell’omicidio.
Ma il caso, apparentemente risolto, era pieno di contraddizioni e punti oscuri.
Il teorema accusatorio si basava sul fatto che Michele Perruzza, dopo avere ucciso la nipotina, avesse costretto il figlio ad autoaccusarsi del crimine. Mauro, essendo ancora 13 enne, non sarebbe stato legalmente perseguibile.
Nel corso delle indagini, sparì l’audiocassetta su cui era inciso l’interrogatorio di Perruzza.
Successivamente, un giornalista pubblicò un articolo in cui avanzava l’ipotesi dell’innocenza dello zio Michele. Per tale ragione fù tacciato di favoreggiamento ed incastrato da un poliziotto. Salvo a scoprire, dopo alcuni mesi, che il giornalista era innocente e si era limitato a manifestare le proprie fondate perplessità sull’attività di indagine.
Michele Perruzza, oltre al processo per omicidio, venne condannato per favoreggiamento, avendo istigato il figlio Mauro ad autoaccusarsi.
Il caso fù riaperto nel 2003, in seguito ad una richiesta di revisione avanzata dal legale di Michele Perruzza e basata sull’esame ematologico (Dna). Esame che non poteva essere ancora eseguito nel ’90 ma che adesso era possibile espletare con molta accuratezza avvalendosi delle nuove tecnologie.
L’esame del DNA provò che Michele Perruzza non era l’assassino di Cristina Capoccitti. Era stato arrestato, condannato ed aveva patito il carcere da innocente. Non era stato Michele a commettere quel delitto.
Il processo di revisione esitò nell’assoluzione con formula piena.
Tuttavia, Michele Perruzza non assisterà mai alla propria remissione in libertà e non avrà mai la possibilità di riabilitare la propria immagine.
Morirà in carcere, all’età di 52 anni, continuando a gridare la propria innocenza.
L’omicidio di Cristina Capoccitti, a distanza di 23 anni, è ancora senza un colpevole.
ricordo quel figlio infame che accuso’ il padre innocente