Pino Cobianchi: il serial killer che sapeva troppo
Pino Cobianchi, il serial killer che sapeva troppo.
Pino Cobianchi si impiccò nel carcere di Opera nel 2012. Era stato condannato all’ergastolo. Un giorno si presentò in aula indossando la maglia del Genoa e disse di sapere dettagli cruciali su Meredith Kercher e sulla strage di Piazza della Loggia
La trovano morta in un fosso il 19 marzo del 2006 nelle campagne di Coltano, frazione di Pisa. Qualcuno ha infierito su di lei con oltre 50 coltellate. È il corpo di una giovane prostituta di 28 anni, Veruska Vason, di cui si erano perse le tracce due mesi prima. Presto si viene a sapere che ha soggiornato fino al giorno della scomparsa in un albergo di Livorno. Il titolare dell’hotel consegna ai carabinieri la valigia con i suoi abiti e soprattutto il cellulare. Dai tabulati le indagini imboccano una strada ben precisa, che tre mesi più tardi porta all’arresto di tre persone, tra cui, come esecutore materiale del delitto, certo Pino Cobianchi, 52 anni, milanese.
L’uomo confessa subito. Dice che tutto sarebbe successo per una truffa finita male.
Ma chi è Cobianchi? È lo stesso uomo che aveva denunciato la scomparsa di Veruska, un mese e mezzo prima del ritrovamento del corpo. Lo ha fatto recandosi più volte al quotidiano Il Tirreno. Raccontando di gente che voleva sfruttarla, di raggiri, di chi l’avrebbe vista portar via.
Ai cronisti del quotidiano ha chiesto pure una mano per tornare “dentro”. Inteso come galera, dove è rimasto una vita. Passata tra orfanatrofi e riformatori, fino alla detenzione vera. Ed è lì che, forse per provocazione, dice ai giornalisti di voler rientrare.
Roba da non credere.
Invece, a febbraio, poco dopo aver dato l’allarme su Veruska, è tornato dentro davvero. L’hanno arrestato insieme ad una donna e ad un amico, come membri della banda di Robin Hood; così soprannominata perché, dopo aver messo a segno alcuni colpi nei negozi di Pisa e provincia, telefonava al giornale locale rivendicando l’operazione col nome dell’eroe della foresta di Sherwod.
Li hanno beccati mentre tentavano l’ennesima rapina ad una profumeria vicino all’Aurelia.
Ma questo è il meno.
Cobianchi agli inizi degli anni Ottanta è stato condannato a quasi trent’anni per un delitto e, raccontano le cronache, in passato si era pure attribuito i delitti di alcune prostitute.
E il fatto è che ora nella zona ci sono altri omicidi irrisolti. Proprio di prostitute.
Su uno insiste, scrivendo una lettera a La Nazione: «Dovete credermi. Sono io l’assassino del transessuale brasiliano Wagner Pereira Da Silva, ucciso a Nodica la notte fra il 2 e il 3 dicembre 2004».
Perché non gli va giù che non gli si dia retta. Ma i magistrati non gli credono. Intanto, viene però rinviato a giudizio per la morte di altre tre lucciole, i cui casi sono stati riaperti: Evelyn Ogunborne, nigeriana, 26 anni, Petra Vendikova, 25 anni, ceca, uccise tra il 3 luglio e il 13 agosto 2003. Ed Ernestina Ingenito, 23 anni, napoletana, il cui corpo in avanzato stato di decomposizione fu trovato a novembre, sempre del 2003.
Tutte e tre sono state uccise a colpi di pistola.
Siamo a maggio 2009 e il processo comincia quando, per Veruska Vason, Cobianchi ha già preso 30 anni. Ma bisogna attendere dicembre per ascoltare la sua deposizione in aula, dove si presenta indossando la maglia del Genoa, anzi dell’ex attaccante Borriello del Genoa, in onore alla sua compagna che porta lo stesso cognome del calciatore. E stavolta si proclama, a sorpresa, innocente. «E – dice- non ho certo nulla da perdere ormai, visto che sono e resterò comunque giustamente in carcere per gli altri reati che ho commesso».
Quindi, sfoggia il curriculum della propria attendibilità: «Sono stato ascoltato come testimone durante il processo di Perugia per la morte di Meredith Kercher perchè sono venuto a conoscenza di alcuni particolari di quell’indagine, così come ho deposto, sempre come teste, a Brescia al processo per la strage di piazza della Loggia contro il generale Delfino, nel quale ho prodotto un documento, che il suo difensore ha definito un atto coperto da segreto di Stato». Il suo avvocato Laura Antonelli gli domanda come mai sappia tutti questi fatti della cronaca nera. E lui, prontamente: «Perchè sono stato amico di Vallanzasca e nell’ambiente della malavita questo è un vanto e sono conosciuto come una persona affidabile. In tanti mi vengono a raccontare le cose, perchè sanno che non sono un “infame”. Voglio però aiutare gli inquirenti a ricostruire la verità su quei delitti e condurli a individuare il responsabile, per evitare il rischio che possa uccidere ancora». Ha scritto, in proposito, anche una lettera a La Nazione in cui attribuiva a sé il delitto dell’agente della Polstrada Bruno Lucchesi, avvenuto nel 1976 e per il quale è stato invece condannato proprio Renato Vallanzasca.
In aula Cobianchi è un fiume in piena. E il suo legale fa notare un dettaglio non trascurabile per dimostrarne l’innocenza. E cioè che Cobianchi, uno che le prostitute le frequentava, soffre tuttavia di «un’anomalia sessuale che lo porta ad abbondanti eiaculazioni. Eppure il suo dna non è mai stato repertato sul luogo degli omicidi».
Ma i giudici non lo ritengono sufficiente. E lo condannano all’ergastolo in primo e secondo grado.
A febbraio 2012, quando deve ormai scontare – tra quattro delitti e reati minori quali incendi, rapine e furti- circa 104 anni di pena, si impicca nella sua cella al carcere di Opera.
Fonte: frontedelblog.it