L’omicidio di Yara Gambirasio è uno dei casi di cronaca nera più eclatanti degli ultimi vent’anni, sia per la morte di una giovanissima ragazza che per l’attenzione mediatica che ne è seguita.
Dopo tre gradi di giudizio, l’assassino è stato individuato in Massimo Bossetti, un muratore di Mapello che gli inquirenti hanno identificato dopo complesse indagini, talmente articolate da non avere precedenti nella letteratura investigativa italiana.
Bossetti è stato condannato all’ergastolo, la pena massima prevista per questa tipologia di reato e tuttavia ancora oggi continua a professare la sua innocenza affermando di essere vittima di un clamoroso errore giudiziario. Ma, su cosa è stato fondato il giudizio di colpevolezza di Massimo Bossetti?
All’avvio delle indagini, gli inquirenti si trovarono in mano pochi elementi a disposizione per ricostruire l’accaduto e risalire al colpevole o ai colpevoli. Le uniche certezze erano rappresentate dal ritrovamento del corpo di Yara, in un campo distante pochi chilometri dalla sua abitazione, tra l’erba incolta. La povera ragazza era scomparsa il 26 Novembre del 2010 dopo essere uscita dalla palestra che frequentava vicino casa. I medici legali, dopo le indagini autoptiche, rinvenirono tracce di DNA sugli slip della ragazza. Si trattava dell’unico elemento che poteva ricondurre all’assassino. Tuttavia, la sequenza di quel DNA mitocondriale non era presente in alcuna delle banche dati a disposizione delle forze dell’ordine. Gli inquirenti, con un’iniziativa che non ha precedenti nella storia giudiziaria del nostro paese, decisero di effettuare una serie esponenziale di test ematici a tutti coloro (concittadini, familiari, conoscenti, amici e parenti) che potevano avere anche un generico collegamento con la vicenda. Alcuni di tali test vennero effettuati spontaneamente, altri attraverso elaborate tecniche investigative. Quel DNA (non essendo stato identificato il suo proprietario) venne battezzato come appartenente ad IGNOTO 1.
Gli accertamenti, dopo mesi di attività, condussero ad un risultato positivo. Si scoprì che quel DNA apparteneva ad un uomo di sesso maschile figlio di tale Giuseppe Guerinoni e di Ester Arzuffi. Si appurò che la donna aveva due figli gemelli (un maschio ed una femmina) ma che era coniugata con Giovanni Bossetti. Quei figli erano l’evidente risultato di un rapporto adulterino che Ester avrebbe intrattenuto anni prima.
In sostanza, quel DNA maschile non poteva che appartenere all’unico figlio maschio della donna ovvero a Massimo Giuseppe Bossetti. Il muratore venne quindi tratto in arresto con l’accusa di omicidio volontario aggravato.
Come detto, la prova regina dell’intero processo si basa sul DNA. Gli avvocati di Massimo Bossetti hanno sostenuto che quel DNA non può costituire una prova certa della colpevolezza di Bossetti, sia perchè di natura mitocondriale (ossia riconducibile solo al ceppo materno) sia perchè in contrasto con altre prove formatesi durante il processo. I legali hanno inoltre ipotizzato che quel DNA potesse essere stato contaminato durante le operazioni di verifica e, per questo motivo, avevano richiesto di ripetere l’esame. Una mossa difensiva pienamente legittima ma impossibile da realizzare, in quanto il reperto ematico residuo era di scarsa entità ed ormai inutilizzabile. L’accoglimento di questa richiesta da parte della Corte, data l’irripetibilità dell’esame, avrebbe decretato l’assoluzione di Bossetti dal punto di vista procedurale.
Ma andiamo, sinteticamente, al punto della questione. L’esame del DNA ritrovato su Yara Gambirasio dimostra che Massimo Bossetti è colpevole? Allo stato degli atti, la risposta a questa domanda non può che essere affermativa, per le seguenti ragioni:
- Non vi è dubbio alcuno che il DNA ritrovato sul corpo di Yara appartenga all’assassino o ad altro soggetto coinvolto nel crimine. La traccia ematica è stata localizzata negli slip della ragazza ovvero su un punto del corpo che dimostra inequivocabilmente che vi è stato un contatto con le sue parti intime;
- La traccia di DNA non può essersi trasferita sulle parti intime della vittima per via aerobica;
- Secondo le analisi più accreditate, le possibilità che il Dna non sia di Massimo Giuseppe Bossetti sono di una su 20 miliardi;
- L’assenza di altri riscontri, a fronte della prova ematica, non è determinante, essendo utile solo ai fini della descrizione della dinamica del delitto;
- Gli investigatori non hanno e non possono avere realizzato alcuna persecuzione nei riguardi di Bossetti, perchè la sua figura emersa solo alla conclusione dell’attività di indagine, quando gli investigatori, attraverso le complesse analisi ematiche, hanno identificato il proprietario del DNA che prima di quel momento apparteneva ad un fantomatico IGNOTO 1.
Queste considerazioni lasciano spazio a pochi dubbi con qualche improbabile incertezza. La colpevolezza di Bossetti potrebbe essere esclusa soltanto dalla prova che il suo DNA sia stato trasferito sulla vittima fraudolentemente da altra persona. Su questo, l’imputato non mai reso alcun chiarimento nè formulato ipotesi alternative plausibili. Bossetti potrebbe anche non essere stato l’esecutore materiale del delitto e potrebbe avere agito insieme ad altri complici.
La sua presenza sulla scena del crimine è comunque un fatto giudiziariamente certo.