VINCENZO VERZENI: IL PRIMO SERIAL KILLER ITALIANO.
Vincenzo Verzeni, nato nel 1849 a Bottanuco, provincia di Bergamo, è il primo serial killer italiano di cui si ha certezza e notizie precise.
Vincenzo era un ragazzo robusto, silenzioso e taciturno, cresciuto in una famiglia disagiata. Il padre, succube dell’alcol, è violento e picchia frequentemente il figlio e la moglie. La madre, succube del marito, soffre di epilessia.
Le percosse subite e le umiliazioni fanno si che la rabbia di Vincenzo esploda nella maniera più tragica, fino a quando quel ragazzo così silenzioso e docile si trasforma in un assassino.
E’ l’8 dicembre del 1870 quando Giovanna Motta, una ragazzina di soli 14 anni, scompare.
Viene ritrovata morta quattro giorni dopo, completamente nuda, il suo corpo lacerato, le viscere asportate ed i genitali asportati e riversi per terra.
Nel collo della ragazza sono riscontrati molti morsi ed in un masso accanto ci sono degli spilloni disposti a raggiera.
La seconda vittima è Elisabetta Pagnoncelli, 28 anni. Il 27 Agosto del 1871 il suo corpo fu rinvenuto in un campo presso la strada comunale per Madone.
La donna fu trovata completamente nuda con evidenti segni di strangolamento causati da una corda rinvenuta vicino al cadavere.
Il corpo era stato straziato probabilmente con un falcetto.
Dal principio i sospetti caddero su Luigi Comerio, il quale fu arrestato il 29 Agosto. In seguito venne appurato che Luigi al momento degli omicidi si trovava nella sua abitazione e fu scarcerato.
Ben presto però i sospetti ricadono su Vincenzo Verzeni, il quale fu arrestato il 10 Gennaio.
Le accuse formulategli furono di omicidio e tentato omicidio.
Nel 1867 tentò di strangolare sua cugina Marianna Verzeni. Il tentato omicidio fu sventato dalla madre della ragazza,Teresa Innocenti, e da una vicina di casa che accorse udendo le urla di Marianna.
Nel Dicembre del 1869 Barbara Bravi fu avvicinata da un uomo che tentò di strangolarla, ma alle urla della donna il suo aggressore scappò.
Malgrado Barbara non avesse visto in volto il suo assalitore, quando vide Verzeni non escluse che fosse stato lui ad aggredirla.
Nello stesso mese, Margherita Esposito fu aggredita da uno sconosciuto che tentò di aggredirla stringendole la mani al collo.
La donna si difese e l’aggressore fuggì. In un confronto riconoscerà in Verzeni la statura e la corporatura dell’uomo che l’aveva aggredita.
Angela Previti, sempre nel 1869, fu importunata dal Verzeni, strattonata per un braccio e condotta nello steso luogo dove fu rinvenuto il cadavere
Giovanna Motta. La donna si mise a piangere ed il Verzeni vedendo le lacrime di Angela scappò.
Il giorno dell’omicidio di Giovanna, Gian Battista Rota, Carolina e Rosa Previtali udirono le grida di una donna, videro poi alzarsi da terra un uomo che somigliava in tutto e per tutto al Verzeni.
Il 10 Aprile del 1871 a Maria Galli viene strappato di testa il fazzoletto. La donna non sporgerà denuncia ma mostratole il Verzeni riconoscerà in lui l’uomo che l’aveva aggredita.
Il 26 Agosto del 1871, Maria Previtali fu aggredita da suo cugino Vincenzo, fu afferrata per la vita e condotta in un fondo.
Fu gettata a terra e afferrata per la gola, riuscì a liberarsi e scappò. Una quindicina di giorni dopo la ragazza accuso il Verzeni per la sua aggressione. Lui a sua volta accusò Luigi Comerio.
Per l’omicidio della Pagnoncelli, il Verzeni fu visto nel luogo dove fu rinvenuto il cadavere da Giovanni Antonio Frigeni e a Giovanni Bravi.
Il Verzeni non negò di essere stato presente nel luogo, ma disse di non saperne nulla ed in seguito accusò Antonio Sala e Giuseppe Suardi.
Accusò di nuovo Comerio dell’aggresSione alla Previtali.
Inoltre, quando fu visto da Giovanni Baravi, il Verzeni recava con se un falcetto.
Nel luogo del rinvenimento del cadavere furono trovate molte impronte di scarpe riconducibili al Verzeni nonche la federa di un cappello di proprietà dello stesso.
Questi sono i crimini di cui viene accusato il Verzeni in ordine cronologico.
Durante il processo, il Verzeni affermerà: “io ho ucciso quelle donne e ho tentato di strangolare quelle altre perché provavo in quell’atto un immenso piacere. Le graffiature che si trovarono sulle cosce non erano prodotte con le unghie ma con i denti, perché io, dopo strozzata la morsi e ne succhiai il sangue che era colato, con che godei moltissimo”.
Scamapata la pena di morte tramite la fucilazione, grazie ad un giurato, viene condannato ai lavori forzati.
Non reggendo a lungo i lavori forzati, viene trasferito in un manicomio giudiziario dove non gli sono risparmiate scariche elettriche, docce fredde e calde, il totale isolamento al buio. Si chiude in un totale mutismo.
Il 23 Luglio del 1874 il Verzeni viene rinvenuto cadavere nella sua cella tramite impiccagione, con in dosso solo le calze e le ciabatte.