I gatti possono scoprire e risolvere delitti
Una ricercatrice italiana sta elaborando un database con mappatura del genoma dei gatti per fornire alle forze dell’ordine un nuovo e rivoluzionario strumento idoneo a collegare gli assassini alla scena del delitto.
Una statistica mondiale non esiste, ma spulciando i singoli report dalle forze dell’ordine – dai nostri carabinieri all’Fbi statunitense -, una tendenza la si scorge in modo piuttosto evidente. Se gli omicidi sono sempre meno, i casi irrisolti, percentualmente, sono sempre di più. A dare una mano agli investigatori sta però per presentarsi un alleato inaspettato: il gatto domestico. Nel mondo i mici di casa sono circa 220 milioni, in Italia 7 milioni e mezzo. Il loro ruolo potrebbe rivelarsi decisivo nel collegare i sospettati ai luoghi dove sono stati compiuti dei delitti, rendendo più semplici le indagini, man mano che la scienza forense affinerà la propria capacità di sequenziarne il dna. Questione di decenni? Di anni? No, di mesi: la prossima primavera dovrebbe portare novità importantissime in questo campo. Grazie anche a un cervello italiano.
“Normalmente, quando sulla scena del delitto si rinvengono tracce organiche, si cerca di analizzare il dna nucleare, quello che rappresenta la carta di identità genetica di ogni individuo. Ma di solito non ce n’è in quantità sufficiente, soprattutto nel caso di corpi lasciati in acqua”, spiega Barbara Ottolini, ricercatrice in forza presso l’Università di Leicester. “Però esiste un secondo tipo di dna. Quello mitocondriale, ereditato per linea materna, di cui ogni cellula possiede molte copie. I gatti si puliscono e si leccano, lasciandone sui propri peli. L’analisi di questo dna non ci porta al singolo animale, ma alla sua “famiglia”. Diciamo che è come se conoscessimo il suo cognome. A quel punto si possono ricollegare con una buona sicurezza il pelo al micio, il micio al padrone e il padrone alla scena del delitto”.
A ventinove anni, forte di un PhD conquistato nell’ateneo inglese, dopo un percorso iniziato a Milano con una laurea in Biotecnologie mediche e proseguito a Parigi con una laurea magistrale in Genetica, la dottoressa Ottolini può già vantare nel curriculum un caso risolto. Quello dell’omicidio di David Guy, trovato morto nell’estate del 2012 sulla spiaggia di Southsea. Per inchiodare l’assassino, David Hilder, c’è voluto più di un anno. Tra le prove prese in considerazione dai magistrati, anche otto peli di gatto, raccolti sulla tendina da doccia che avvolgeva il cadavere. Per provare la corrispondenza tra quella traccia e l’animale domestico di Hilder, il team di scienziati diretto dal professor Mark Jobling, di cui Barbara fa parte, ha lavorato senza sosta per sette settimane, genotipizzando 152 campioni di sangue provenienti da esami di routine compiuti in varie cliniche veterinarie inglesi e creando il primo database inglese di dna mitocondriale felino. Uno strumento di confronto che ha permesso di aggiungere una prova importante a carico dell’imputato. “Va comunque detto che la polizia ha avuto fortuna: il gatto di Hilder apparteneva a un gruppo poco diffuso nel Sud dell’Inghilterra. Questo ha stretto di molto il cerchio intorno a lui”,chiarisce la ricercatrice.
Se negli Stati Uniti questo tipo di prove era già stato usato nel corso di processi per omicidio, per l’Inghilterra è stata la prima volta. Ma con tutta probabilità non l’ultima. La buona riuscita dell’indagine ha infatti dato impulso alla ricerca in questa direzione. Una ricerca che – si spera – potrebbe avere seguito anche in altri paesi. Il lavoro, a Leicester, non si è di fatto mai interrotto: “Stiamo procedendo col sequenziamento delle basi che compongono il dna mitocondriale felino. L’obiettivo è arrivare ad almeno due mappature complete di ognuno dei 12 gruppi di gatti che formavano il nostro database iniziale. Tornando all’esempio di prima, è come se passassimo dai cognomi ai doppi cognomi: ora distinguiamo il gatto Rossi dal gatto Brambilla. Presto distingueremo il gatto Rossi-Esposito da quello Rossi-Viendalmare». Proprio in questi giorni, applicando tecniche “tradizionali” e concentrandosi su regioni del dna ad alta variabilità, si è arrivati a distinguere 23 gruppi. Ma a segnare il salto di qualità decisivo sarà nell’immediato futuro l’impiego diIon Torrent. Una tecnologia di ultima generazione che permetterà ai ricercatori di leggere e confrontare tramite software dedicatitutte le 17 mila “lettere” che compongono il codice.
I primi risultati dovrebbero arrivare il prossimo aprile. Saranno annunciati attraverso una pubblicazione e verranno accompagnati dalla messa in rete del database, a disposizione di ricercatori e inquirenti. Un bel passo avanti, se si considera quanto i mici siano diffusi come animali da compagnia e come sia impossibile venire in contatto con loro senza che almeno un pelo ci resti addosso. L’unico limite è dato dal fatto che, per quanto la procedura sia replicabile, il singolo database può essere utilizzato solo su base locale. “Purtroppo il nostro archivio non può essere usato fuori dall’Inghilterra. Non sono mai stati raccolti dati sulla variabilità delle popolazioni feline nei vari stati europei e quindi non è detto che i gruppi evidenziati qui siano frequenti quanto quelli che troveremmo altrove”. Affinché i gatti – oltre ad allietarci i pomeriggi sul divano e online – ci aiutino anche a incarcerare gli assassini, dovrebbero quindi muoversi i singoli centri di ricerca presenti in ogni nazione. «Io sarei felicissima di compiere uno studio simile sul suolo italiano. Anche perché la maggior parte della mia formazione è avvenuta in Italia ed è un peccato che il mio contributo poi vada soprattutto a favore di altri», conclude Barbara, mentre come ogni anno si prepara a tornare a casa per Natale.
Fonte: WIRED