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Lettera di Adriano

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Adriano. Lettera

 

Adriano (76-138 d.C.) fu Imperatore di Roma dal 117 al 138 dopo Cristo, dopo Traiano.

Nella sezione relativa alla testimonianza di Plinio il Giovane (61-113 d.C.) abbiamo già discusso la lettera che venne inviata da Plinio nel periodo 111-113 d.C., quando era governatore della Bitinia, all’imperatore Traiano. Nel testo di quella lettera Plinio chiedeva all’imperatore Traiano come regolarsi nei processi contro i cristiani in Palestina, in particolare se dovesse essere condannata la sola adesione alla nuova religione o se i cristiani dovessero essere colti in flagrante a commettere azioni contrarie alla legge romana per essere condannati, cioè se vada punito il nome di per se stesso, pur se esente da colpe, oppure le colpe connesse al nome”. Circa dieci anni dopo il proconsole di Asia Quinto Licinio Silvano Graniano scrisse ad Adriano, nel frattempo succeduto a Traiano, in merito a problematiche analoghe a quelle sollevate in precedenza da Plinio il Giovane. La risposta arrivò al successore di Graniano, il proconsole Caio Minucio Fundano in carica nel periodo 122-123 dopo Cristo. Il testo della lettera di Adriano è conservato in greco nella Storia Ecclesiastica di Eusebio di Cesarea (265-340 d.C.):

Lettera di Adriano in Eusebio di Cesarea, Storia Ecclesiastica, IV, 9, 1-3.

“Ho ricevuto una lettera scrittami dal vir clarissimus Serenio Graniano, al quale tu sei succeduto. E non mi sembra opportuno lasciare il caso senza esame, perchè gli uomini non siano turbati e ai delatori non sia dato agio di agire malvagiamente. Se dunque i provinciali sono in grado di sostenere apertamente questa richiesta contro i Cristiani, in modo che possano anche replicare in tribunale, ricorrano solo a questa procedura, e non ad opinioni o clamori. E’ infatti assai più opportuno che tu istituisca un processo, se qualcuno vuole formalizzare un’accusa. Allora, se qualcuno li accusa e dimostra che essi stanno agendo contro le leggi, decidi secondo la gravità del reato; ma, per Ercole, se qualcuno sporge denuncia per calunnia, stabiliscine la gravità e abbi cura di punirlo.”

Traduzione dal greco di A. Nicolotti, www.christianismus.it

Il passo è stato citato dagli apologisti cristiani per sostenere che non era giustificabile il condannare a priori i Cristiani solo per il loro nome e in base a calunnie. Adriano nella lettera afferma che quando un cristiano viene denunciato comunque deve essere istituito un regolare processo nel quale si stabilisca se e come l’accusato ha agito contro le leggi. I Cristiani, pertanto, non devono essere condannati a priori senza prove, sulla base di accuse non fondate. Ricordiamo che nella lettera di Plinio il Giovane a Traiano è scritto che era prevista la condanna a morte per i Cristiani. D’altra parte è anche evidente che un vero cristiano non avrebbe mai adorato la figura dell’Imperatore o gli dei romani, quindi in un certo senso essere cristiani significava mettersi automaticamente al difuori delle leggi romane. Plinio il Giovane riferisce che nei suoi processi venivano condannati a morte i cristiani che si ostinavano a rinnegare la divinità dell’Imperatore e rifiutavano gli dei romani.

Al rescritto di Adriano allude l’apologista cristiano Melitone di Sardi, vissuto nel II secolo. Verso il 170 d.C. egli scrisse una Apologia, indirizzata all’imperatore romano Marco Aurelio, della quale sono noti soltanto alcuni frammenti attraverso citazioni patristiche. Scrive Melitone, citato da Eusebio di Cesarea, in Storia Ecclesiastica, IV, 26, 7-11:

“Ma i tuoi pii antenati hanno corretto la loro ignoranza, rimproverando spesso per iscritto quanti avano osato introdurre novità a proposito dei cristiani. Tra loro tuo nonno Adriano ha scritto, com’è noto, tra molti altri, al proconsole Fundano governatore dell’Asia, e tuo padre, quando anche tu seguivi tutti gli affari con lui, ha scritto alle città di non introdurre alcuna novità a nostro riguardo, tra gli altri agli abitanti di Larissa, di Tessalonica, di Atene e a tutti i Greci.”

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