I rotoli del Mar Morto ed i documenti di Qumran

I rotoli del Mar Morto ed i documenti di Qumran
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I ROTOLI DEL MAR MORTO ED I PREZIOSI DOCUMENTI SUL CRISTIANESIMO RINVENUTI A QUMRAN

La scoperta di questo importantissimo sito archeologico che si trova presso le rive del Mar Morto è avvenuta in modo del tutto casuale nel 1947 quando un pastore, rincorrendo una delle sue capre, per caso si accorse che una grotta vicino all’antico insediamento di Khirbet Qumran – noto da tempo a viaggiatori ed esploratori – conteneva delle giare all’interno delle quali erano stati nascosti dei documenti, papiri e pergamene molto antiche ormai in stato frammentario a causa dell’azione corruttrice del tempo. Successivamente tutta l’area attorno a Khirbet Qumran venne esplorata e furono ritrovate ben undici grotte piene di documenti molto importanti per quanto riguarda lo studio dell’ebraismo, mentre eventuali collegamenti con il cristianesimo sono oggetto di studio e notevole dibattito storico e scientifico. Il materiale rinvenuto nelle grotte di Qumran è vastissimo, sono state ritrovate centinaia e centinaia di porzioni di pergamene e rotoli di papiro molto antichi, scritti da mani diverse, quasi tutti in stato frammentario ad eccezione di un rotolo del profeta Isaia che si è conservato intatto. Moltissimi frammenti sono stati identificati come resti biblici “canonici” e in un solo colpo sono diventati i più antichi documenti esistenti dell’Antico Testamento ebraico. Quando vennero scoperti, i documenti dell’Antico Testamento rinvenuti a Qumran si rivelarono di circa mille anni più vecchi dei più antichi documenti “masoretici” che allora si conoscevano in questo campo.

I manoscritti di Qumran sono stati quasi tutti tradotti completamente e sono disponibili in alcune edizioni, accessibili anche al lettore comune. Complessivamente il numero di documenti ritrovati e catalogati ammonta a circa ottocento manoscritti. Di questi, un terzo sono frammenti piccolissimi contenenti solo poche lettere, il cui testo è fondamentalmente incomprensibile. Alcuni di questi piccoli frammenti sono diventati famosi quando qualche studioso ha ipotizzato di poterli identificare con qualche testo noto: è il caso, per esempio, dei minuscoli frammenti greci della grotta 7Q, come vedremo. Un altro ulteriore terzo dei ritrovamenti è composto da resti di documenti biblici più o meno ampi, utili per lo studio della trasmissione del testo della Bibbia ebraica e delle varie recensioni. Infine l’ultimo terzo comprende tutti i documenti che non rientrano nelle altre due categorie, quindi opere settarie, calendari, trattati religiosi, commentari (pesharim), apocrifi dell’Antico Testamento come 1 Enoc e il libro dei Giubilei, che è stato possibile comprendere e tradurre data l’abbondanza e la completezza del testo che si è conservato. La letteratura qumranica non biblica può essere oggi agevolmente studiata sulla base delle seguenti traduzioni, eseguite direttamente a partire dai manoscritti originari e reperibili nel catalogo di una qualunque biblioteca pubblica mediamente fornita:

 

I rotoli di Isaia

Particolarmente interessanti sono stati i ritrovamenti nella grotta 1Q di due rotoli del profeta Isaia, contenenti gli scritti del profeta più importante di tutto l’Antico Testamento. Il rotolo 1QIs(a) è denominato anche “grande” rotolo di Isaia, in quanto contiene per intero tutti e 66 i capitoli del libro del profeta, con pochissime lacune dovute allo stato di conservazione, il rotolo 1QIs(b) è invece incompleto e contiene solo i Capitoli da 41 a 66, corrispondenti al 75% circa del libro di Isaia, più altri frammenti. Il grande rotolo è stato scritto tra il 150 a.C. e il 100 a.C. ed è il testo più antico del libro di Isaia che oggi si conosca. Il testo del rotolo è scritto in una lingua che assomiglia a una specie di dialetto dell’ebraico antico, con alcuni influssi dall’aramaico. I testi qumranici sono non vocalizzati, sebbene in 1QIs a l’aggiunta di alcune lettere in determinate parole ha funzione di rudimentale sistema di vocalizzazione. Soltanto dal VI-VII secolo d.C. gli scribi ebrei noti col nome di Masoreti formalizzarono un sistema di vocalizzazione per il testo biblico e iniziarono a tramandare per iscritto la Bibbia ebraica con i segni vocalici (il Talmud continuò invece a essere trascritto senza vocalizzazione, così come lo si legge ancora oggi).  Il rotolo 1QIs(b) sembra essere più recente del “grande rotolo” ed è stato datato attorno 50 a.C. per via paleografica. Il contenuto dei due rotoli è pressoché identico al testo ebraico masoretico di Isaia che è pervenuto sino a noi e che possiamo leggere oggi.

 

Qumran e gli Esseni

Oltre ai due rotoli di Isaia e ad altri numerosissimi frammenti dei testi dell’Antico Testamento, sono stati ritrovati alcuni apocrifi dell’Antico Testamento, in precedenza noti solo nella versione greca dei LXX, commentari di vario tipo scritti in ebraico ed in aramaico e documenti che si ritengono collegati agli antichi abitanti di quel sito. Molti qumranisti oggi pensano che l’area di Qumran fosse abitata sino al I secolo da unaComunità di Esseni descritta dagli storici ebrei del I secolo quali Giuseppe Flavio (37-103 d.C.) e Filone di Alessandria (13 a.C. – 45 d.C.). Un ritratto degli Esseni ci è pervenuto anche dallo storico e naturalista romano Plinio il Vecchio (24-79 d.C.), che visitò la Palestina nel 75 d.C., dopo la prima rivolta giudaica del 66-74 dopo Cristo. La tendenza moderna è oggi quella di considerare quello degli Esseni come un movimento diffuso in tutta la Palestina, in accordo alle testimonianze di Giuseppe Flavio e Filone di Alessandria che parlano degli Esseni come di un gruppo numeroso e per certi versi ancora integrato nella società ebraica, mentre la Comunità di Qumran sarebbe un gruppo minoritario nato verso il I o il II secolo avanti Cristo dal più generale movimento esseno, in seguito a uno scisma religioso. A queste conclusioni sono giunti qumranisti quali Paolo Sacchi, Gabriele Boccaccini e Florentino Garcia Martinez, quest’ultimo creatore dell’ipotesi di Groningen. Per questo è importante distinguere tra movimento degli Esseni e Comunità di Qumran, in quanto i due fenomeni sono probabilmente da tenere distinti, il secondo come sviluppo del primo. Ma vi sono anche altri qumranisti che propongono una storia diversa della Comunità di Qumran, per esempio R. Eisenman ed altri sostengono che Qumran abbia ospitato per molti anni addirittura la nascente comunità cristiana. Dalla analisi della loro letteratura e dall’archeologia di Khirbet Qumran pare che qui si fosse insediato una specie di ordine monastico ante litteram probabilmente in contrasto con le regole e con le usanze dei sacerdoti Farisei e Sadducei del tempio di Gerusalemme. Da un esame della loro letteratura risulta che i qumraniti erano ebrei molto intransigenti ed ortodossi, “fondamentalisti” diremmo oggi; seguivano persino un loro calendario di tipo solare diverso da quello “ufficiale” di Gerusalemme basato sul ciclo della Luna. Qumran è una importante zona archeologica anche perchè si pensa che sia sede di un notevole stop-archeologico noto con una certa precisione: secondo la maggioranza dei qumranisti e la teoria oggi più accreditata le grotte infatti vennero sigillate attorno al 68 d.C. verso la fine della prima rivolta giudaica, quando gli antichi abitanti del luogo furono costretti ad abbandonare in fretta e furia la regione e a mettere in salvo i loro documenti prima dell’arrivo delle truppe romane che occuparono quella zona negli anni successivi. In effetti le datazioni indicano che il materiale rinvenuto nelle grotte è datato tra il III secolo a.C. e il I secolo d.C. e non oltre. Poiché i reperti rinvenuti a Qumran sono in maggioranza testi scritti e quasi sempre frammentari non è facile applicare la tecnica del Carbonio 14 senza danneggiarli, inoltre la stessa prova al C14 non è molto precisa. Nel 1950 alcuni teli di lino che avvolgevano i rotoli della grotta 1Q sono stati sottoposti alla prova del C14 dallo stesso inventore del metodo, lo scienziato W.F. Libby dell’Università di Chicago. Il risultato stabilì che i teli sarebbero stati realizzati attorno al 33 d.C., con una precisione di 200 anni (sic!) che sono una enormità quando si trattano queste problematiche. Nel 1991 è stato possibile utilizzare per la prima volta la spettrometria di massa per risalire alla datazione dei rotoli: i campioni testati hanno confermato nella sostanza l’indagine paleografica che era stata eseguita negli anni ’50 e ’60: i rotoli sarebbero stati scritti fra il III secolo a.C. e il I secolo d.C., in accordo con le testimonianze storiche relative all’abbandono dell’insediamento da parte degli ebrei. Queste datazioni sono poi state confermate anche da una seconda campagna di misure al radiocarbonio, eseguita nel 1994.

 Tuttavia il tema dell’origine e della datazione dei rotoli di Qumran è argomento abbastanza delicato non appena si scende nel dettaglio e si esaminano attentamente le datazioni fornite dalle prove al radiocarbonio e dalla paleografia. Inoltre la teoria più accreditata vorrebbe i rotoli scritti dagli abitanti dell’attuale sito di Khirbet Qumran e il sito stesso abitato fino al I secolo dopo Cristo dalla Comunità ebraica degli Esseni o da un ramo distaccatosi dagli Esseni. Se in linea di massima questa teoria sembra valida in prima approssimazione, essa presenta tuttavia alcune clamorose anomalie; inoltre gli stessi rapporti tra l’insediamento di Khirbet Qumran e i rotoli ritrovati nelle grotte circostanti non sono ben chiari. Così non è affatto provato che senza ombra di dubbio Khirbet Qumran era un insediamento esseno e che i manoscritti nelle zone vicine a K.Q. sono proprio stati scritti dagli Esseni e/o dagli abitanti di Khirbet Qumran.

  A Qumran è stata ritrovata una enorme quantità di manoscritti frammentari. Non tutti i manoscritti sono stati composti dalla Comunità di Qumran, molti sono semplicemente testi classici dell’ebraismo che erano patrimonio comune di tutti gli ebrei. Essi erano conservati e utilizzati dai qumraniti ma non sono stati composti da Esseni. Altri testi ritrovati a Qumran, come il libro di Enoc, erano probabilmente testi classici del movimento dal quale i qumraniti si erano distaccati. Secondo gli studi più recenti i documenti più importanti propri della Comunità che ha scritto i rotoli ritrovati a Qumran sono:

 

1) il Rotolo della Guerra (1QM), un libro apocalittico che descrive la guerra escatologica tra i figli della luce e i figli delle tenebre. Una delle dottrine principali che emergono dall’analisi della letteratura settaria di Qumran è quella del dualismo cosmico tra bene e male, ovvero tra luce e tenebre. Secondo questa dottrina Dio avrebbe volontariamente introdotto nell’Universo sia il bene che il male; quest’ultimo non sarebbe quindi nato come ribellione a Dio, cosa impossibile perchè non è ammesso che si possa disobbedire a Dio da un punto di vista filosofico, ma come volontaria e consapevole creazione di Dio. Alla fine dei tempi gli esseri asserviti – per ordine di Dio e non per scelta volontaria – al male (o tenebre) sono destinati ad essere sconfitti e distrutti per sempre.

 

2) la Regola della Comunità (1QS), che ci informa sulla struttura gerarchica della Comunità, probabilmente quella degli Esseni o derivata da essi in seguito a uno scisma, sui suoi rituali e su quelle che erano le regole per esservi ammessi; contiene anche importanti informazioni sulla dottrina elaborata o seguita dalla Comunità, per esempio viene qui elaborata la teoria della predestinazione alla quale essi credevano discostandosi dai Farisei e soprattutto dai Sadducei. La Comunità era governata da un Maestro che regolava l’ingresso nella Comunità e stabiliva le leggi che governavano la vita dei membri, che si consideravano la luce destinata a distruggere le tenebre nella grande battaglia escatologica della fine dei tempi;

 

3) il Rotolo degli Inni  o Hodayot (1QH) contenente preghiere e salmi elaborati dalla comunità; si tratta di composizioni simili a quelle dei Salmi, il tema ricorrente degli inni qumranici allude però alle esperienze religiose di un maestro in stretto contatto con Dio, perseguitato da alcuni nemici e abbandonato dai suoi discepoli;

 

4) i Commentari (pesharim) biblici; la Comunità aveva realizzato una serie di commentari dell’Antico Testamento la cui importanza risiede nel fatto che essi interpretano in chiave storica le antiche profezie veterotestamentarie, fornendo indicazioni per ricostruire la storia della Comunità e delle sue origini. Uno dei pesharim più importanti è il Commentario di Abacuc (1QpHab) che descrive un conflitto religioso tra il Maestro di Giustizia (nome in codice che si riferisce al leader della Comunità di Qumran) e i suoi avversari, che sono il Sacerdote Empio e l’Uomo della menzogna. Il Sacerdote Empio, da quanto emerge, sembra un oppositore esterno al movimento qumranico, con tutta probabilità un sommo sacerdote del tempio di Gerusalemme considerato corrotto ed iniquo dai qumraniti, mentre l’Uomo di menzogna potrebbe essere un oppositore sorto all’interno della Comunità o da ambienti in stretto contatto con essa; secondo alcuni, invece, l’Uomo della menzogna è semplicemente un’altro modo di chiamare il Sacerdote empio. Il pesher di Abacuc inserisce sullo sfondo anche i Kittim, una popolazione pagana aggressiva e violenta che avrebbe punito per volere divino i sacerdoti di Gerusalemme. A causa del suo linguaggio cifrato e dell’assenza di dati storici concreti è difficile identificare questi personaggi e inquadrarli in un preciso contesto storico. I Kittim potrebbero essere i  Romani, che erano presenti in Palestina fin dal 64 avanti Cristo, distrussero il tempio di Gerusalemme e la città nel corso della guerra del 66-74 d.C. e condividono effettivamente con i Kittim del commentario le caratteristiche di potenza egemone e guerriera, ma la data di composizione dell’opera potrebbe anche essere anteriore a queste vicende. La datazione paleografica del manoscritto qumranico è riferita al periodo erodiano, tra il 30 a.C. e l’inizio dell’era volgare. Ma le analisi al radiocarbonio eseguite nel 1994 a Tucson, nei laboratori dell’Università dell’Arizona, hanno fornito come data di scrittura di 1QpHab il periodo 104-43 a.C. (con probabilità 1s = 68%) oppure 120-5 a.C. (con probabilità 2s = 95 %). Poiché queste sono le date di realizzazione del singolo manoscritto ritrovato a Qumran, la data di composizione dell’opera potrebbe essere ben più antica, se quella qumranica è soltanto la copia di un manoscritto precedente eseguita da uno scriba. Molte soluzioni sono poi state proposte per identificare il Maestro di Giustizia e i suoi oppositori con personaggi storici reali, nessuna di esse è tuttavia risolutiva e accettata indistintamente da tutti i qumranisti.

Il commento ad Abacuc è molto importante per la tecnica che esso utilizza nell’interpretazione profetica. Il libro di Abacuc descrive nei vv. iniziali l’iniquità che caratterizzava una parte del popolo di Israele. Nel linguaggio e nella cultura biblica dell’Antico Testamento in genere quando una parte del popolo di Israele commette fatti contrari alla legge di Dio o si allontana dai precetti della religione ebraica intervengono fattori esterni, quasi sempre invasioni da parte di altri popoli, per correggere Israele ed estirpare da esso i malvagi e i corrotti. Così Abacuc profetizza una invasione dei Caldei, il popolo babilonese, voluta da Dio per ristabilire Israele e cancellare da esso l’iniquità. Il pesher qumranico ad Abacuc riprende questa antica profezia, riferita a eventi che si verificarono ai tempi dell’invasione babilonese nel VI secolo a.C., ma la applica alla storia della Comunità e agli eventi che sarebbero dovuti accadere. Se Israele nella dottrina ebraica è il popolo eletto da YHWH, i membri della Comunità si sentivano a loro volta degli eletti speciali all’interno del giudaismo, in opposizione ai sacerdoti di Gerusalemme e al Sacerdote empio. La classe sacerdotale, secondo la visione qumranica, era invece corrotta e si comportava iniquamente opponendosi agli eletti guidati dal Maestro di Giustizia, rappresentando così la parte di Israele che Dio doveva punire. Lo strumento della punizione sarebbe stato, secondo il commentario, l’invasione da parte del misterioso popolo dei Kittim. I qumraniti credevano che la fine dei tempi fosse imminente, come traspare in alcuni passi dello stesso commentario in cui si parla di fine dei tempi, e pensavano di vivere davvero negli ultimi giorni della storia, al termine della quale, dopo l’invasione dei Kittim (voluta da Dio) e la destituzione della classe sacerdotale di Gerusalemme capeggiata dal Sacerdote empio, Dio avrebbe finalmente trionfato, anche i Kittim con i loro idoli di legno e di pietra sarebbero dopo poco scomparsi a loro volta e gli eletti avrebbero assistito al trionfo di Dio. Questa originale tecnica di interpretazione delle profezie veterotestamentarie fu utilizzata anche dai Cristiani i quali, da sempre, applicano molti passi dell’Antico Testamento alle vicende legate a Gesù Cristo

Il Commentario del profeta Nahum (1QpNah) fornisce invece dei nomi storici reali, un Antioco e un Demetrio, ma non si sa a quali dei sovrani seleucidi si alluda esattamente. Demetrio è alleato dei “cercatori di facili cose”, probabilmente i Farisei. Inoltre è menzionato un’altro personaggio, il “furioso leone”, un re snguinario che compì una vendetta sui “cercatori di facili cose”. Molti tendono a identificare questa figura con Alessandro Ianneo, che operò una tremenda vendetta sui suoi nemici Farisei, i cercatori di facili cose. Il pesher fa anche riferimento ad altri misteriosi gruppi politico-religiosi attivi in quel momento in cui venne scritto, le tribù di Manasse ed Efraim, forse i Farisei ed i Sadducei. Efraim e Manasse vennero coinvolti in alcune vicende legate alla Comunità di Qumran. Si conoscono vari commentari ritrovati a Qumran, i più celebri sono quelli di Abacuc, Nahum, Isaia e Osea.

La data dell’Ultima Cena

La scoperta dei rotoli di Qumran, che potrebbero essere i documenti della setta degli Esseni oppure più verosimilmente (secondo le ultime ricerche storiche) di una particolare setta ebraica distaccatasi dal più ampio movimento degli Esseni, ha scatenato un fortissimo dibattito relativamente a possibili collegamenti tra quella setta e il primo cristianesimo. Alcuni hanno voluto ipotizzare che il cristianesimo nascente, a partire dalle attività e dalle predicazioni di Giovanni Battista e Gesù stesso, sia stato fortemente influenzato dal pensiero e dalla “filosofia” degli Esseni e/o della Comunità di Qumran. Impossibile in questa sede anche soltanto citare tutti gli elementi a sostegno di queste tesi e quelli che invece vi si oppongono, data la complessità e vastità dell’argomento.

 Un esempio di contatto tra Esseni e cristiani starebbe nell’adozione – da parte degli Esseni – di un calendario religioso diverso da quello in uso a Gerusalemme e utilizzato dai sacerdoti del tempio e dal Sinedrio. In base a questo calendario, la Pasqua ebraica secondo gli Esseni verrebbe celebrata qualche giorno prima rispetto alla Pasqua ebraica (la Pésah) che si festeggiava a Gerusalemme e questo spiegherebbe alcune anomalie sulle date dell’ultima cena celebrata a Gerusalemme da Gesù e dagli Apostoli. Nei sinottici si afferma che Gesù durante l’ultima cena festeggia una “Pasqua”, ma sembra impossibile che sia la tradizionale Pasqua (Pésah) ebraica in quanto durante il periodo pasquale – che durava una settimana – era impossibile condannare a morte una persona od anche soltanto operare un arresto o celebrare un processo tramite il Sinedrio e c’è da aspettarsi che anche i Romani rispettassero queste usanze giudaiche per non creare incidenti. La Pasqua ebraica era da sempre una occasione per scontri e tumulti in quanto a Gerusalemme si veniva a concentrare una enorme folla di pellegrini provenienti da tutta la Palestina. Durante la Pasqua ebraica l’esercito romano era sempre in stato di massimo allarme quindi è anche molto attendibile che Pilato si trovasse proprio a Gerusalemme come narrano i vangeli (probabilmente per assumere personalmente il comando dell’esercito e dell’ordine pubblico)  nonostante la sua residenza ufficiale non fosse affatto nella città santa ma a Cesarea Marittima, una città costiera che aveva un porto ottimamente collegato con Roma.

 Tuttavia l’arresto, il processo e la condanna a morte di Gesù avvengono secondo i sinottici ovviamente dopo l’ultima cena. Il vangelo di Giovanni, invece, si limita a presentare l’ultima cena senza sostenere esplicitamente che si tratta di un banchetto pasquale. Una delle spiegazioni che è stata data a queste incongruenze e imprecisioni è che Gesù e gli Apostoli abbiano seguito un calendario diverso da quello utilizzato dai sacerdoti del Tempio di Gerusalemme, un calendario in cui la Pasqua (che si celebrava sempre per tutti, secondo la legge mosaica, a partire dalla sera del quattordicesimo giorno del mese di Nisan)  cadeva qualche giorno prima di quella ufficiale degli ebrei di Gerusalemme, quindi il 14 di Nisan inteso da Gesù e dagli Apostoli non coinciderebbe con il 14 Nisan festeggiato a Gerusalemme. In questo modo Gesù e gli Apostoli avrebbero avuto il tempo di festeggiare la loro “Pasqua”, nel gergo neotestamnetario l’ultima cena, e i giudei e i romani di processare e giustiziare Gesù prima della Pasqua ebraica. Secondo Giovanni Gesù viene sepolto nel pomeriggio del 14 di Nisan di Gerusalemme e la sera di quello stesso giorno che coincide con l’inizio del 15 di Nisan – che è il primo giorno degli Azzimi – aveva inizio la festa della Pésah ebraica (cfr. Gv 19:31).

 Era forse il calendario solare degli Esseni del quale a Qumran sono stati ritrovati numerosi frammenti  il calendario seguito da Gesù Cristo e dagli Apostoli? Difficile dirlo con certezza – anche se sussistono forti sospetti e alcuni hanno provato a dimostrarlo – in quanto sfortunatamente non sono noti i meccanismi di correzione del calendario per tener conto della sua sincronizzazione con la rivoluzione terrestre e di conseguenza con il ciclo delle stagioni. L’ipotesi che l’ultima cena di Gesù sia stata una Pasqua ebraica festeggiata uno o più giorni prima della Pasqua ebraica celebrata presso il tempio di Gerusalemme non è una tesi eretica ma negli ultimi anni è stata accolta anche dalla Chiesa cattolica. A questo proposito si veda la nota a Giovanni 18:28 presente nella Bibbia edizione C.E.I., dove si postula che Gesù abbia celebrato una “Pasqua” diversa da quella ufficiale dei Sinedriti di Gerusalemme e quindi abbia seguito un diverso calendario:

 Bibbia C.E.I., ediz. 1983, nota a Gv. 18:28 – “Gesù, a differenza dei sinedriti, aveva già celebrato la cena pasquale (Mt. 26, 2.20): il calendario religioso non era allora uniforme per tutti.”

 Di recente Benedetto XVI durante l’omelia del giovedì santo in San Giovanni in Laterano il 5 Aprile 2007 ha ripreso l’ipotesi che Gesù Cristo e i dodici discepoli abbiano celebrato nel corso dell’ultima cena una Pasqua ebraica festeggiata secondo un calendario diverso, probabilmente quello ricostruibile attraverso le tavole calendariali ritrovate a Qumran:

 Benedetto XVI, omelia del giovedì santo 5 Aprile 2007 – “Gesù ha realmente sparso il suo sangue alla vigilia della Pasqua nell’ora dell’immolazione degli agnelli. Egli però ha celebrato la Pasqua con i suoi discepoli probabilmente secondo il calendario di Qumran, quindi almeno un giorno prima. L’ha celebrata senza agnello, come la comunità di Qumran, che non riconosceva il tempio di Erode ed era in attesa del nuovo tempio.”

 Il fatto che la massima autorità della Chiesa cattolica citi le scoperte relative ai manoscritti di Qumran e le possibili applicazioni alla risoluzione dei problemi storici relativi al Nuovo Testamento è certamente un segnale di grande apertura e indica l’importanza che questi studi vengono ad avere. D’altra parte se esistono basi per potere avanzare simili collegamenti tra Esseni e cristianesimo, che non sono evitate o messe a tacere persino da Benedetto XVI, è anche vero che notevoli sono gli elementi di profondo dissenso tra il pensiero di Gesù Cristo che oggi conosciamo attraverso il Nuovo Testamento e la filosofia della Comunità di Qumran: l’intransigenza dei membri della Comunità verso il sabato, la assoluta inderogabilità della “legge” mosaica, la discriminazione dei peccatori, le loro scrupolosissime regole alimentari e il loro ritiro dal mondo – soprattutto quello dei pagani – ritenuto corrotto e lontano da Dio, sembrano essere in netta opposizione “filosofica” all’atteggiamento molto più “liberale” di Gesù nei confronti del sabato (basta citare Marco 2:23) o dei peccatori e dei trasgressori della legge mosaica (basta citare ad esempio Gv 8:7). Anche le dottrine del dualismo cosmico e della predestinazione, tipiche dottrine che emergono alla lettura della letteratura di Qumran, non sembrano in linea con l’evoluzione della dottrina dei cristiani.

 Una possibile spiegazione delle contraddizioni e delle analogie tra le dottrine che emergono dalle opere settarie di Qumran e il cristianesimo può essere forse avanzata seguendo il pensiero di F. Garcia Martinez, P. Sacchi, G. Boccaccini e altri. Qumran non è l’Essensimo tout court ma una Comunità nata per scissione da un preesistente e più antico movimento, quello del giudiasmo enochico che fin dal IV secolo avanti Cristo si era messo in opposizione con il giudaismo sadocita  legato al tempio di Gerusalemme. La Comunità di Qumran deriva da uno scisma operatosi all’interno del movimento enochico, il cristianesimo non deriverebbe direttamente dalla Comunità di Qumran bensì dal movimento enochico. Gli stessi Esseni apparterrebbero al più ampio e vasto moviumento enochico, forse un gruppo di Esseni dissidenti si sarebbe ritirato in isolamento presso Qumran opponendosi sia al movimento sadocita che a quello enochico. Il fatto che a Qumran siano stati ritrovati frammenti del calendario solare non significa che i qumraniti fossero gli unici a utilizzare un simile calendario religioso e che addirittura lo avessero inventato per primi. Il calendario solare infatti è descritto, seppure da un punto di vista teorico, anche nel libro di Enoc e in quello dei Giubilei che non sono composizioni peculiari di Qumran ma esistevano già da molto tempo quando venne fondata la Comunità. L’adozione – eventuale – del calendario solare da parte di Gesù e dei discepoli nella migliore delle ipotesi può dimostrare che i qumraniti e i cristiani avevano un antenato comune, il giudaismo enochico, che aveva composto il libro di Enoc, quello dei Giubilei e tanta altra letteratura apocrifa utilizzata (ma non necessariamente composta!) sia dai cristiani che dai qumraniti.

 Nei seguenti lavori si propone la ricostruzione del calendario secondo quanto rinvenuto nelle tavole calendariali di Qumran, la presentazione dei problemi relativi alla cronologia del racconto della Passione secondo il Nuovo Testamento e alcune possibili soluzioni, con pregi e difetti delle medesime.

 

La data dell’Ultima Cena (PDF 202 KB)

 

Per approfondire:

La data dell’ultima cena (versione web)

Calendario della Comunità di Qumran (XLS 237 KB)

Cronologia della Passione (PDF 111 KB)

 

 

Il frammento 7Q5: il vangelo di Marco a Qumran?

 

“Mi pare giunto il tempo di inserire il frammento 7Q5 nella lista   

 ufficiale dei papiri del Nuovo Testamento.”

 

(Aegyptus, rivista italiana di egittologia e papirologia, 74, 1994, pag. 207)

 

Orsolina Montevecchi, dal 1954 al 1986 professoressa di papirologia all’Università Cattolica di Milano, presidentessa dell’Associazione Internazionale di Papirologia dal 1983 al 1989, poi presidentessa onoraria, autrice di varie pubblicazioni papirologiche e del manuale “La Papirologia”.

“L’eventualità che nella grotta 7 vi fossero i più antichi manoscritti del Nuovo Testamento greco è ugualmente sprovvista di fondamento. Questa ipotesi, presentata come tale nel 1972 dal professor O’Callaghan e ripresa recentemente in diversi libri dal professor Carsten Peter Thiede, dispone di un supporto documentario così ridotto e così fragile che è impossibile giungere a una conclusione positiva.”

(da: F. Mébarki, E. Puech, I manoscritti del Mar Morto, Jaca Book, 2003, pag. 221)

 

Florentino Garcia Martinez, qumranista, direttore del Qumran Instituut dell’Università di Groningen, professore all’università di Lovanio, editor della Revue de Qumran e del Journal for the Study of Judaism, traduttore dei rotoli del Mar Morto.

 

 

La quasi totalità dei documenti rinvenuti nelle grotte di Qumran è costituita da pergamene e rotoli di cuoio o papiro scritti in paleo ebraico, riconducibili a brani o commentari dell’Antico Testamento oppure a documenti “interni” prodotti dalla Comunità di Qumran. Ma vi sono alcune eccezioni significative. Una percentuale piccola ma non trascurabile di documenti, per esempio, è scritta in aramaico. Inoltre nella grotta 7Q, esplorata nel 1955, sono stati ritrovati alcuni frammenti di rotoli, per la precisione ventiquattro, tutti scritti in greco, fatto abbastanza insolito in quanto in tutto il resto del sito non sono stati rinvenuti che altri sei frammenti soltanto scritti in greco, tutti contenuti nella grotta 4Q. Un’altra caratteristica interessante è che tutti i frammenti greci della grotta 7Q sono papiracei mentre nella grotta 4Q quattro frammenti su sei erano su cuoio. Nel dettaglio la situazione dei ritrovamenti dei frammenti greci nelle grotte di Qumran è riportata nella sottostante tabella.

 

Frammento grecoDatazione (paleogr.)MaterialeAttribuzione
4Q122 = 4QLXXDeutII sec. a.C.CuoioDeuteronomio 11:14
4Q119 = 4QLXXLev aII-I sec. a.C.CuoioLevitico 26:2-16
7Q1 = 7QLXXExII-I sec. a.C.PapiroEsodo 28:4-7
7Q2 = 7QLXXEpJerII-I sec. a.C.PapiroBaruc 6:43-44
7Q3II-I sec. a.C.PapiroNon identificato
4Q120 = 4QLXXLev bI sec. a.C.PapiroLevitico 1:11-6:5
4Q126Fine I sec. a.C.PapiroNon identificato
4Q127Fine I sec. a.C.Cuoio?? Parafrasi dell’Esodo ??
4Q121 = 4QLXXNumI sec. a.C. –I sec. d.C.CuoioNumeri 3:40-4:16
7Q4, 7Q6, 7Q8, 7Q9, 7Q10, 7Q11, 7Q12, 7Q13, 7Q14, 7Q1550 a.C. – 50 d.C.PapiroNon identificati. Attribuzioni più probabili a passi del NT o al primo libro di Enoc (greco)
7Q550 a.C. – 50 d.C.Papiro?? Marco 6:52-53 ??
7Q19II sec. a.C. – I sec. d.C.Testo impresso suun blocco di terraNon identificato

Tabella 1 – Situazione dei frammenti greci ritrovati nelle grotte di Qumran. I frammenti della grotta 7 sono stati pubblicati per la prima volta da M. Baillet, J.T. Milik, R. de Vaux nell’opera: Discoveries in the Judean Desert (DJD III), Les Petites Grottes de Qumran, Oxford, Clarendon Press, 1962. I frammenti della grotta 4 sono stati pubblicati da P.W. Skehan, E. Ulrich, J.E. Sanderson, nell’opera: Discoveries in the Judean Desert (DJD IX), Qumran Cave 4.IV: Paleo Hebrew and Greek Biblical Manuscripts, Oxford, Clarendon Press, 1992.

 I frammenti della grotta 7Q vennero pubblicati per la prima volta nel 1962 nell’opera Discoveries in the Judean Desert of Jordan IIIsinteticamente nota come DJD III e fin dall’inizio i frammenti 7Q1 e 7Q2 (il primo numero indica la grotta di appartenenza, la “Q” sta per Qumran, mentre il secondo numero denota il numero di frammento) sono stati attribuiti con alcune varianti rispettivamente ad un passo dell’Esodo e ad un passo del libro di Baruch (la “lettera” di Geremia) secondo il testo della Bibbia “greca” dei LXX. Dei sei frammenti della grotta 4Q, pubblicati soltanto nel 1992 nella DJD IX, quattro sono stati attribuiti a passi della versione greca dell’Antico Testamento detta dei LXX. Gli altri due restano per il momento senza attribuzione, sebbene uno di questi, il frammento noto come 4Q127, presenta le parole Mosè, Faraone, Egitto che si riscontrano frequentemente nel libro dell’Esodo, per questo è citato alcune volte come “parafrasi dell’Esodo” 4QparaExodus gr. NellaDJD III del 1962 compare anche la prima trascrizione di un frammento di particolare interesse, 7Q5, la cosiddetta “editio princeps”, per opera diR.P. Boismard della prestigiosa Ecole Biblique et Archéologique di Gerusalemme. Come altri frammenti di quella grotta, 7Q5 rimase per un po’ di tempo senza alcuna attribuzione.

 

Per approfondire:Editio Princeps del Frammento 7Q5

 Se 7Q1 e 7Q2 furono immediatamente attribuiti a passi della versione greca dei LXX, gli altri frammenti della grotta 7Q, invece, sono rimasti per anni senza attribuzione fino a quando nel 1972, a dieci anni dalla loro prima pubblicazione ufficiale, il papirologo spagnolo Padre Josè O’Callaghan (un gesuita), destando molto scalpore, propose l’attribuzione del frammento 7Q5 con un passo del vangelo di Marco, precisamenteMc 6:52-53 (cliccare per vedere l’attribuzione di O’Callaghan in sintesi). O’Callaghan inoltre mise in relazione altri frammenti della grotta 7Q con altrettanti passi neo testamentari, in particolare con porzioni delle lettere di San Paolo. Scomparso nel Dicembre del 2001 J. O’Callaghan era uno scienziato autorevole, nel ’72 all’epoca della sua scoperta era professore di papirologia al Pontificio Istituto Biblico di Roma. Inoltre l’attribuzione di O’Callaghan è stata sostenuta in particolare a partire dal 1984 e negli anni successivi dal tedesco Carsten Peter Thiede, prete anglicano ma soprattutto papirologo e paleografo di fama internazionale, membro dell’Associazione Internazionale di Papirologia e direttore dell’Istituto per la Ricerca Epistemologica di Paderborn oltre che professore in varie Università europee. O’Callaghan ha raccontato in alcune interviste e convegni come si è interessato alla questione del frammento 7Q5. All’epoca stava lavorando ad un inventario di tutti i frammenti greci dell’Antico Testamento ritrovati presso Qumran. Poiché la grotta 7Q ne conteneva due attribuiti con un certo grado di sicurezza alla Bibbia dei LXX la sua attenzione cadde sugli altri rinvenuti in quella grotta, in particolare si interessò al 7Q5 che contiene la sequenza di lettere nnhs non molto comune nella letteratura greca. Accadde così che, quasi per gioco, si mise a cercare una possibile attribuzione per 7Q5. In un primo momento O’Callaghan pensò che quelle lettere fossero parte di ™gšnnhsen, l’aoristo indicativo del verbo greco genn£w (generare), che significa generò,  come ipotizzato anche da Boismard nella Editio Princeps del frammento. Pertanto si mise a cercare  possibili attribuzioni del frammento ad alcuni brani dell’Antico Testamento contenenti delle genealogie (es.: kaˆ ™gšnnhsen Abraam tÕn Isaak = Abramo generò Isacco, cfr. 1 Cr. 1:34), ma i tentativi si rivelarono infruttuosi dal momento che il resto delle lettere non coincidevano in alcun modo con quanto richiesto dal papiro e lo stesso accadde cercando anche tra le genealogie del Nuovo Testamento. Consultando il Nuovo Testamento greco O’Callaghan si imbatté nel toponimo Gènnesaret e si accorse quindi del passo di Marco 6:52-53 che lo cita. Se si cerca in tutto l’Antico Testamento (traduzione italiana C.E.I.) la parola Gènesaret la si ritrova soltanto sei volte: Numeri 34:11, Deuteronomio 3:17, Giosuè 13:27 e 19:35, 1 Re 15:20 ed infine 1 Maccabei 11:67. Nel testo greco della Bibbia dei LXX però la sequenza di lettere riscontrabile sul frammento compare solamente nel citato passo del libro dei Maccabei, dove troviamo la parola Gennhsar (il lago di Gennesar). Il passo dei Maccabei non può tuttavia essere identificato con 7Q5 in quanto le rimanenti lettere non sono comunque coincidenti con quello che è rimasto sul frammento 7Q5. O’Callaghan ricevette l’autorizzazione da parte diCarlo Maria Martini (il futuro Cardinale Arcivescovo di Milano, che all’epoca era rettore del Pontificio Istituto Biblico di Roma presso il quale il papirologo spagnolo insegnava in quel periodo) a pubblicare su Biblica, la prestigiosa rivista dell’Istituto, le sue ipotesi di lavoro. La decisione non fu presa a cuor leggero: vennero consultati a Roma altri docenti dell’Istituto e da ultimo il Prof. Sergio Daris dell’Università di Trieste.

 Questa attribuzione del frammento 7Q5 ad un passo del vangelo di Marco ha suscitato sin dal 1972 le opinioni più contrastanti ed ha acceso un dibattito alquanto complesso. Oltre al 7Q5 O’Callaghan propose di attribuire altri frammenti della grotta 7Q a passi neo testamentari. Ritrovare alcuni frammenti del Nuovo Testamento datati al massimo al 50 d.C. e scritti su rotolo è un fatto eccezionale e unico sia per il fatto che non esistono altri frammenti così antichi del Nuovo Testamento, sia perché tutti i documenti cristiani fin dalle origini ci sono stati tramandati su codice tanto che si è sempre supposto un legame speciale tra il formato editoriale del codice e il cristianesimo. Come sappiamo i documenti cristiani sono stati di fatto la prima opera dell’antichità ad essere tramandata sistematicamente su codice mentre per le altre opere questo formato andò diffondendosi massicciamente solo dal III-IV secolo dopo Cristo. Oltre a Thiede nel corso degli anni si sono schierati a favore della attribuzione proposta da O’Callaghan accademici anche molto prestigiosi come Orsolina Montevecchi, che è stata presidentessa della Associazione Internazionale di Papirologia. Nell’Ottobre del 1991 presso l’Università Cattolica di Eichstätt (in Germania) si è tenuto un simposio internazionale sul frammento 7Q5 dove quasi tutti gli studiosi di fama mondiale che vi hanno partecipato si sono detti d’accordo con la attribuzione di O’Callaghan. Tuttavia altri studiosi altrettanto acclamati hanno rifiutato l’identificazione, come ad esempio lo stesso Boismard che aveva redatto la Editio Princeps del 7Q5, Emile Puech e quasi tutti gli esperti dell’autorevole Ecole Biblique di Gerusalemme. Così anche oggi la schiera di chi contesta l’attribuzione di O’Callaghan si presenta alquanto nutrita e il dibattito resta quanto mai aperto. Se fosse veramente provata, questa attribuzione dimostrerebbe che il vangelo di Marco è stato scritto molto presto, dato che prima della distruzione del tempio di Gerusalemme (70 d.C.) ne esisteva già una copia scritta in greco. Questo contrasterebbe con l’attuale punto di vista di molti autorevoli esperti sulla data di nascita dei vangeli.

 Purtroppo il frammento 7Q5 è molto piccolo, misura infatti soltanto 3,9 cm in altezza e 2,7 cm in larghezza, risulta danneggiato nella parte destra per cui di fatto l’area “utile” si riduce a 3,3 ´ 2,3 cm solamente, le lettere che sono leggibili sono molto poche (circa una decina, oltretutto il frammento provenendo da un rotolo e non da un codice è scritto solo su di un lato) e quindi non è possibile dimostrare inequivocabilmente e senza ombra di dubbio a quale testo esso appartenga e se veramente quel minuscolo frammento contiene i resti di due versetti del vangelo di Marco. Inoltre sussiste sempre l’eventualità che potesse appartenere ad un testo andato perduto. Così a partire dal 1972 altri studiosi hanno tentato di trovare attribuzioni diverse da quella di O’Callaghan, con risultati forse meno convincenti rispetto al tentativo del papirologo spagnolo. Tra le attribuzioni “alternative” di maggiore interesse ricordiamo quella della papirologa Spottorno (Zaccaria 7:4-5), di Paul Garnet (Esodo 36:10-11), Kurt Aland (Luca 3:19-21) e di Ernest Muro (Genesi 46:20) anche se tutte queste attribuzioni sembrano più lacunose di quella proposta da O’Callaghan. A questo si deve aggiungere il fatto che, come già detto, il documento di origine del 7Q5 – così come degli altri frammenti della grotta 7Q e persino della grotta 4Q non identificati – potrebbe anche essere un documento non noto, un apocrifo non conosciuto o chissà quale altro tipo di documento, magari un documento della setta stessa, sebbene sembri improbabile che gli Esseni di Qumran abbiano sentito l’esigenza di tradurre in greco alcuni loro testi caratteristici, data la chiusura e la estrema intransigenza religiosa che li contraddistingueva e infatti i resti di testi greci rinvenuti a Qumran sono veramente rarissimi. Ad oggi l’ipotesi di O’Callaghan, che è stata sostenuta anche con sofisticate indagini scientifiche (nel 1992 c’è stata persino l’analisi del frammento eseguita dal Dipartimento di Investigazione e Scienza forense della polizia nazionale israeliana, un ente certamente non sospettabile di condurre perizie “pilotate” a sostegno di tesi che in qualche modo favoriscono posizioni cristiane, per dimostrare che una lettera pressoché illeggibile era concorde con quanto supposto da O’Callaghan) è certamente una delle più convincenti, forse la meno contestabile, seppure con le sue lacune e le sue ipotesi di lavoro. Le altre attribuzioni del resto presentano anche loro le loro lacune e, probabilmente, risultano meno sicure e più ardite di quella di O’Callaghan e Thiede. Chi si oppone all’attribuzione di O’ Callaghan, a parte le motivazioni strettamente tecniche e paleografiche (vedere l’approfondimento qui sotto), in genere trova anche molte difficoltà nel giustificare la presenza di un frammento di un documento cristiano come il vangelo di Marco in area qumranica, in pieno territorio esseno. Inoltre le analisi paleografiche (stile “ornato”, in tedesco zierstil) e le conoscenze storiche e archeologiche sul sito di Qumran (abbandonato dai suoi abitanti nel 68 d.C., sebbene alcuni sostengano che fosse abitato da qualcuno fin verso la rivolta anti romana del 130 d.C.) implicano una datazione del frammento 7Q5 compresa fra il 50 a.C. e il 50 d.C. (vedi anche DJD III e soprattutto il caratteristico modo di scrivere la A in maiuscolo nel kai presente al centro del frammento): in questo arco di tempo si dovrebbe postulare che esistessero già delle copie del vangelo di Marco già scritte addirittura in greco.

 

Clicca qui per scaricare il dibattito sul frammento 7Q5:   Il frammento 7Q5 (PDF 1.247 KB)   

Immagine del frammento 7Q5:     Picture 7Q5   (Per gentile concessione del Prof. E. Muro)

 

Il frammento 7Q5 

(Versione web , cliccare

per accedere al link)

 

A sinistra: il frammento 7Q5

A destra: J. O’Callaghan

 

7Q5, Altri articoli Correlati:

7Q5, ammissibilità dell’identificazione di O’Callaghan

  Gennesaret e il frammento 7Q5

  Note sulle identificazioni di C.J. Hemer e J. O’Callaghan per il frammento 7Q5 (PDF)

 

I frammenti 7Q4, 7Q8, 7Q11-14:  1 Timoteo o 1 Enoc?

Nella grotta 7Q, oltre al frammento 7Q5, sono stati ritrovati anche altri piccoli pezzi di papiro. Particolarmente importante è il frammento denominato 7Q4 che a sua volta è costituito da due piccoli frammenti denominati 7Q4,1 e 7Q4,2 appartenenti allo stesso papiro e che assieme sono denominati 7Q4. O’ Callaghan propose nel 1972 la attribuzione di questi due piccoli frammenti al passo della prima lettera a Timoteo 3:16-4:3.  Il frammento 7Q8, che ha un ruolo chiave in questa vicenda, è invece stato attribuito, sempre da O’Callaghan, alla prima lettera di Giacomo 1:23-24. Successivamente alcuni papirologi – in particolare G.W. Nebe che per primo nel 1988 ha aperto la questione accorpando ai frammenti 7Q4,1&2 anche il frammento 7Q8, Padre Emile Puech professore alla Ecole Biblique et Archéologique di Gerusalemme (Puech è stato anche direttore dellaRevue de Qumran fondata da J. Carmignac) ed Ernest Muro – hanno contestato queste attribuzioni proposte da O’Callaghan nei primi anni settanta, sostenendo che è possibile raggruppare assieme più frammenti sulla base di caratteristiche quali lo stile di scrittura e l’andamento delle fibre dei frammenti, e ipotizzare che appartenessero in origine ad un’unico rotolo contenente un testo apocrifo e pseudoepigrafo dell’Antico Testamento, il Primo libro di Enoc (1 Enoc). Nel 1988 Nebe propose l’identificazione di 7Q4,1 e 7Q8 ad 1 Enoc 103:3-4; questi frammenti sarebbero addirittura provenienti da una stessa pagina del rotolo di papiro e si troverebbero uno accanto all’altro. Nebe propose poi di identificare 7Q4,2 con 1 Enoc 98:11. In seguito a metà degli anni ’90 gli studi di Muro e di Puech sono andati nella direzione di accorpare anche altri frammenti della grotta 7Q al 7Q4 e al 7Q8. Secondo Ernest Muro anche il frammento 7Q12 (non identificato in precedenza da O’Callaghan) farebbe parte di 1 Enoc 103:4 e quindi cadrebbe nella stessa pagina di papiro che conteneva 7Q4,1 e 7Q8. Emile Puech ha difeso le idee di Nebe, discordando però sulla attribuzione del frammento 7Q4,2 che sarebbe 1 Enoc 105:1 e non 1 Enoc 98:11. Secondo Puech apparterrebbero a I Enoc i frammenti 7Q4,1&2, 7Q8, 7Q11, 7Q12, 7Q13 e 7Q14 (ben sette frammenti). Le identificazioni di Nebe, Puech e Muro hanno dalla loro parte la forte affinità fisica tra i frammenti 7Q4,1 e 7Q8: nelle immagini dei frammenti si vedono chiaramente le fibre del papiro che hanno una orientazione “ideale” per ipotizzare che questi due frammenti si trovassero uno a fianco dell’altro nella pagina manoscritta. Poiché il primo libro di Enoc (1 Enoc) è un testo non compreso neppure nel canone ebraico, non compreso nella Bibbia dei LXX (la traduzione in greco dell’Antico Testamento fatta tra il II secolo a.C. e il I secolo d.C.), non è citato da Giuseppe Flavio e Filone di Alessandria nel canone ebraico del loro tempo (I-II secolo d.C.) alcuni studiosi – ad esempio C.P. Thiede, che difende ancora oggi a spada tratta tutte le attribuzioni di O’Callaghan – hanno messo in discussione le attribuzioni di questi frammenti ad 1 Enoc, sostenendo che non è neppure certo che sia mai esistita in tempi così antichi una traduzione greca di questo apocrifo (e infatti gli unici frammenti esistenti del primo libro di Enoc scritti in greco sono tutti molto più tardi). Le porzioni più antiche di manoscritti in greco che si conoscano di 1 Enoc sono infatti soltanto del IV secolo. Inoltre questo libro è un apocrifo del quale si erano perse le tracce ed è stato rinvenuto in tempi moderni solo nel 1773 peraltro in una versione copta e non greca. Di conseguenza c’è una certa difficoltà ad avere un testo stabile di questo libro e le attribuzioni di Muro, Nebe e Puech a livello testuale presentano le loro difficoltà (molto della attribuzione si gioca in realtà sulla affinità tra i frammenti 7Q4,1 e 7Q8). Non a caso Nebe nel 1988 sottolineò con molta circospezione e prudenza le sue deduzioni circa i frammenti 7Q4,1 e 7Q8. Tuttavia occorre sottolineare che di questo testo oggi non canonico proprio a Qumran nella grotta 4Q sono stati rinvenuti frammenti in aramaico, inoltre sappiamo per certo che esso è stato utilizzato a fondo fino al IV secolo d.C. persino dai primi cristiani e dai padri della Chiesa che lo hanno citato nelle loro opere: addirittura nel Nuovo Testamento, nella lettera di Giuda 14-15, c’è un riferimento diretto a un passo tratto dal primo libro di Enoc. Emile Puech si è spinto addirittura a dimostrare che anche i frammenti 7Q11, 7Q13 e 7Q14 possono essere identificati con altri versetti del primo libro di Enoc ed essere accorpati agli altri frammenti (7Q4,1, 7Q8 e 7Q12). A favore di questa identificazione c’è il fatto che da un punto di vista logico se si ritrovano tanti pezzetti di papiro in un medesimo luogo, difficilmente essi apparterranno ad altrettanti testi diversi ma è logico supporre che ce ne saranno alcuni, se non molti o quasi tutti,  appartenenti ad un medesimo manoscritto. Ma i frammenti di cui stiamo parlando sono veramente molto piccoli per cui C.P. Thiede è riuscito ad accorpare ai frammenti 7Q4,1&2 già precedentemente identificati da O’Callaghan anche i frammenti 7Q11, 7Q12, 7Q13 e 7Q14 tentando la stessa operazione di Puech e Muro, ma con la prima lettera a Timoteo invece che con il primo libro di Enoc. Secondo Thiede, dunque, 7Q4,1 sarebbe 1 Tim 3:16-4:3 come proposto da O’Callaghan, 7Q11 sarebbe 1 Tim 2:15-3:1, 7Q12 sarebbe 1 Tim 3:1-2, 7Q13 sarebbe 1 Tim 3:15, infine 7Q14 coinciderebbe con 1 Tim 3:7. Il frammento 7Q8 rimarrebbe invece attribuito ad 1 Giacomo 1:23-24 (in accordo con O’Callaghan). E. Puech però ha dalla sua parte il dato di fatto che considerando 1 Enoc si riesce a collocare anche il frammento 7Q8 oltre agli altri, mentre prendendo come “base” per la attribuzione la prima lettera a Timoteo non è possibile accorpare agli altri anche il frammento 7Q8 e in particolare non è possibile avanzare l’ipotesi che questo frammento si trovasse proprio accanto al 7Q4,2 (mentre l’evidenza fisica ci dice il contrario).

 

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il dibattito sui frammenti della grotta 7Q  Frammenti greci Grotta 7 (PDF 866 KB)  

 

Frammenti 7Q 

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A sinistra: Carsten Peter Thiede

A destra: Emile Puech

 

Visitate il sito web del Prof. E. Muro:   www.breadofangels.com

 

 

 

 

 

La Grotta 7Q – Problemi aperti

 

Quando venne esplorata la grotta 7Q in essa venne ritrovata assieme ai frammenti un’anfora recante due volte l’iscrizione ךןמא dipinta in nero in caratteri ebraici, come documentato ad esempio da Roland De Vaux sulla Revue Biblique 63 (1956) a pag. 572. La parola ebraica, che è non vocalizzata, va letta da destra verso sinistra: la prima lettera è una resh, la seconda lettera dipinta è una waw, la terza una mem, infine la quarta ed ultima è una aleph. La scritta, traslitterata con lettere occidentali e opportunamente vocalizzata, potrebbe quindi essere R(o)wma oppure R(a)wma(la vocale tra parentesi non veniva scritta nell’ebraico di quel periodo). Secondo alcuni studiosi – in particolare il noto ebraista J.A. Fitzmyer – questa scritta potrebbe essere un tentativo di traslitterare la parola “Roma” o “Ruma” secondo l’alfabeto ebraico. Sfortunatamente non sappiamo con precisione che cosa si usasse scrivere sulle anfore attorno al I secolo. Alcuni pensano che, posto che la scritta sia davvero “Roma”, l’anfora potesse riportare l’indicazione della sua provenienza: essa sarebbe finita a Qumran dopo un lungo viaggio partito dalla città di Roma. Secondo altri, invece, nelle anfore si usava scrivere il nome del proprietario del materiale contenuto, così che le lettere ritrovate non corrisponderebbero affatto ad una indicazione geografica e tanto meno a Roma.

 

Se si potesse confermare che l’anfora reca veramente la scritta “Roma”, intendendo con ciò che i rotoli in essa contenuti sono stati scritti in Italia, questo avrebbe delle implicazioni molto interessanti per quanto riguarda le attribuzioni che abbiamo presentato. Per esempio quasi tutti gli studiosi pensano che il vangelo di Marco sia il più antico dei quattro vangeli canonici, e sia stato scritto proprio a Roma ad uso dei pagani. La congettura che il vangelo di Marco sia stato scritto a Roma ha anche un fondamento storico, certamente da ben valutare e ponderare in ordine alla sua attendibilità, in quanto Eusebio di Cesarea (storico della Chiesa vissuto tra il 265 e il 340 d.C. circa) nella sua Storia Ecclesiastica, basandosi sulle testimonianze, purtroppo perdute, di Papia di Gerapoli (70-150 d.C. circa) e Clemente di Alessandria (150-215 d.C. circa), afferma che proprio a Roma e con l’approvazione dell’apostolo Pietro fu redatto tale vangelo (Hist. Eccl. 2.15.1-2 e Hist. Eccl. 6.14.5-6). Invece quanto riportato da Ireneo di Lione (140-202 d.C. circa) in Adv. Haer. 3.1.1 (pervenutoci in una versione latina e in greco nella citazione di Eusebio di Cesarea, Hist. Eccl. 5.8.2-4), pur presentando il discepolo Marco come interprete di Pietro, sembra opporsi a una composizione del vangelo di Marco nel periodo apostolico e dunque, implicitamente, alla identificazione di 7Q5 con Mc. 6:52-53. Per una analisi di queste fonti rimando a quanto discusso all’inizio del seguente documento introduttivo di uno studio sui padri apostolici: Parte 1 – Introduzione (PDF).

 

Per quanto riguarda la prima lettera a Timoteo, la tradizione fin dal II secolo ha sempre supposto che essa sia stata scritta direttamente da Paolo di Tarso anche se quasi tutti gli studiosi oggi pensano che questo testo sia opera in realtà di un collaboratore di Paolo o di un ignoto scrittore cristiano che lo avrebbe scritto nel II secolo, dopo la morte di Paolo di Tarso. Allora qui i casi sono due: se l’identificazione di O’Callaghan-Thiede è vera allora si deve certamente ridatare al I secolo la stesura della prima lettera a Timoteo. Se l’iscrizione sull’anfora è veramente una indicazione che anche la prima lettera a Timoteo proveniva da Roma, ne concluderemmo che essa  potrebbe davvero essere stata scritta da Paolo di Tarso o da un suo incaricato durante il periodo delle detenzioni di Paolo a Roma, come la tradizione ha sempre sostenuto. Il padre O’Callaghan, che purtroppo è scomparso il 15 Dicembre del 2001, ha sempre sostenuto che alcuni dei papiri della grotta 7Q presentano dei tratti paleografici che si incontrano nei papiri di Ercolano, in Italia. Siamo comunque nel campo di ipotesi che è difficilissimo confermare con i pochi elementi oggi a disposizione.

 

Un’altra questione aperta, che è stata fatta notare da Ernest Muro, è legata alla misteriosa presenza di un frammento in ebraico rinvenuto nella grotta 7Q. In queste pagine abbiamo sostenuto che nella grotta 7Q furono trovati solo frammenti in greco perché questo è quanto è noto oggi, ma nel 1956 venne pubblicata sulla Revue Biblique 63 una lista del materiale rinvenuto nelle grotte 7Q-10Q di Qumran. Ora, in questa lista si menziona la presenza di un frammento pergamenaceo scritto in ebraico e rinvenuto nella grotta 7Q. Poiché questo frammento è letteralmente scomparso nel nulla (quando nel 1962 vennero pubblicati i frammenti della grotta 7Q non c’era alcun accenno a questo ulteriore frammento, ma si parlava solo dei ben noti frammenti in greco) e nessuno sa dove si trovi e se esista ancora, ci si chiede perché nessuno abbia mai tentato di scoprire qualcosa al riguardo e se esso esista veramente e sia davvero un reperto significativo.

FONTE:DIGILANDER.LIBERO.IT/HARD_RAIN


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